Se dessi retta all'istinto vivrei in una stanza d'albergo, ne ho vista una stamattina e me ne sono innamorato. Passavo sotto l'hotel Sempione ed era la terza da sinistra, secondo piano del palazzo, con un terrazzino dalla ringhiera blu. Beninteso, l'ho vista da fuori ma me la sono immaginata piccola e arredata a misura delle mie pretese, che sono essenziali: una libreria per tenere i libri da cui non so separarmi, un letto a una piazza e mezza per ospitare le amiche di passaggio, uno schermo per guardare i film e un convettore per l'aria condizionata. Meglio se la stanza fosse insonorizzata, così i vicini di camera, ogni giorno differenti, potrebbero far festini e io dormire della grossa, se mi va. A pensarci bene di tanto in tanto un po' di baccano mi piacerebbe sentirlo, o mi verrebbe da pensare di vivere nel deserto. Mi sorride l'idea di stare fermo in un posto per un sacco di tempo e avere attorno gente che viene e va, ed è sempre diversa, una volta altera, un'altra accondiscendente, un'altra ancora schizzata, omofoba e rissosa. Che ne so io che diavolo passa nella testa delle persone. Dopo aver viaggiato dentro stagioni laceranti e aver traslocato tanto da non poter più prendere in mano neanche una valigia vuota, sarebbe l'isola che cerco, sarebbe Itaca, senza la seccatura di Penelope a rompermi i coglioni. Dove sei stato tutto questo tempo? Ma ti sembra normale sparire nel nulla al punto che tutti ti credevano morto? Avevo detto che andavo a comprare le sigarette, come nelle storielle comiche, ma avrei dovuto trovare una scusa migliore: io non fumo e mi hanno sgamato subito. In guerra però ci sono stato, altroché: quella parte del poema non è romanzata. In tutti i reparti dove ho visto gente calva con le cannule infilate nelle braccia c'era un conflitto mondiale. Però nessuno sembra dargli peso: se la guerra non la fai personalmente quella degli altri ti sembra un gioco di ruolo. E insomma adesso sono qui. O meglio: mi piacerebbe esserci, e magari è un po' la stessa cosa per via che l'immaginazione ha più risorse della realtà. Una volta alla settimana mia figlia passa a prendermi e andiamo al cinema, e poi la notte ne parliamo su Whatsapp. Certe volte ne parliamo per giorni interi, tanto il film ci è piaciuto. L'accordo con l'albergatore è semplice: pago la stanza come pagassi l'affitto di un monolocale, col vantaggio che mi rifanno la camera e mi puliscono il bagno. Io scrivo, leggo, guardo, faccio l'amore e invecchio molto lentamente. Che se stai da solo è una fortuna che non di rado ti cade addosso come una benedizione.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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