Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo, ma con tenerezza, perché mai ho avuto l'impressione che non mi volessi bene. Dopo sparivi per un paio di giorni o per due settimane, e poi tornavi alla carica: "Stai ancora rimuginando su quella tua allieva, pezzo d'asino che non sei altro?" Ti ripetevo che la mia allieva aveva trentacinque anni, che era l'anno che insegnavo alle scuole serali, e lo dicevo a voce alta, perché chi ci sentiva non pensasse che me la facevo con le ragazzine. Tu ridevi, Non fa differenza - rispondevi, e io osservavo che sì, faceva tutta la differenza del mondo. Quel tuo cinismo, quella tua etica claunesca, mi servirebbero adesso, che devo decidere cosa fare di te, ma non li ho mai desiderati. Erano qualità tue, o tue perversioni, e ognuno ha le proprie, è giusto così. Eri talmente bravo a recitare che mi hai ingannato, il tre aprile. Non me ne sono accorto, non sembravi dimagrito. Potevi dirmelo che stavi male. Potevi dirmelo e io lo avrei capito. Accettato no, perché non si accetta una cosa così enorme. Ma ti avrei perdonato, per esserti ammalato. Ora dovrei lasciare andare te. Mi dici come faccio, se non ricordo nemmeno l'ultima parola che mi hai detto? Proprio Lasciami andare, avresti dovuto dirmi, per coerenza, e invece hai detto solo Ciao. Ciao e basta. E io adesso come faccio con un Ciao e basta a conservare la tua memoria senza inseguire il passato?
A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...
È difficile parlare della propria malattia.
RispondiEliminaIndubbiamente
EliminaSe ne parli, ti sbatte in faccia la sua enormità, ed è difficile, tanto. Vuoi illuderti che sia tutto normale, c fare i discorsi di sempre, come se... vunascondere vuoi nasc
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