C'è un bar in questa città di mare dove ho immaginato potrebbero venire per un chiarimento universale tutti i popoli del mondo. Mi ci sono fermato ieri, a leggere Tabucchi e a bere una coca, di ritorno da una sgambata in bici, e ad aspettare l'ora di cena. Ho chiesto alla ragazza del caffè se potevo prendere in prestito il giornale, e sfogliarlo dieci minuti all'ombra delle palme. C'erano tutte quelle cose orrende che ci sono sui giornali, e alle quali siamo abituati, è un'anestesia di pietà che ci toccherà scontare, in questo mondo o nell'altro. Ho immaginato che ebrei e palestinesi potrebbero venirci, in questa piazza, e sentire che buono che è il gelato che fa questa ragazza che somiglia a un'attrice di cui non ricordo il nome. Specie il torroncino, il torroncino coi suoi pezzetti di canditi e le mandorle di Noto è uno spettacolo. E potrebbero farci un salto, a patto che vengano disarmati, tutti i russi e tutti gli ucraini, c'è spazio, è un locale che sembra piccolo ma ha un dehor dalle risorse insospettabili. E gli americani, con la loro stupida pretesa di stabilire la verità per tutti, potrebbero arrivare via cielo, se hanno fretta. Un aeroporto nelle vicinanze c'è, e poi tutti in pullman, fino a qui, con gli orari delle navette affissi fuori delle botteghe dei tatuatori. Imparerebbero a mangiare sano, piadine col crudo e altre prelibatezze, e magari così nutrendosi gli si aprirebbe il cuore, che chi mangia male poi ragiona peggio, ed è arido e ottuso. E tutti quegli altri popoli della terra, oppressi e oppressori, qui, miracolosamente stipati eppure ognuno col suo spazio vitale e la salsedine che gli elettrizza i capelli, io ce li vedrei bene, se fosse mio il bar; e se fossero miei la piazza e la città ce li ospiterei a mie spese, e gli direi Avete mai fatto caso a quanto è commovente la sera in posti del genere? Io ci ho fatto caso, è una vita che ci faccio caso, ci ho fatto caso anche ieri, che il sole tramontava alle spalle del mare e l'acqua era tutto un rimbalzare di luce, e a riva pesciolini d'argento, in branco, guizzavano via dai piedi dei ragazzini. Più in qua, tra la fine della spiaggia e la pista ciclabile, un uomo e una donna si tenevano per mano, per aver sconfitto, dopo mille battaglie, tutte il tempo passato a detestarsi.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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