Vorrei avere un nome per ogni circostanza, uno per ogni tentazione, uno per ogni telefonata molesta e uno per tutti gli appuntamenti a cui ho dato buca, di modo che quando mi maledicono maledicano qualcun altro. Sarebbe divertente che il lunedì mi chiamassi Gianrico, il martedì Stefano, il sabato Elia e solamente la domenica Francesco perché una volta la settimana, al giorno della festa, la verità al mondo potrei pure mostrarla. Come sarebbe disorientata lei, la ragazza che ha un solo bellissimo nome, a cercarmi sulla rubrica del telefono; che disabitudine, che pigolio di voce, nella notte, a svelarmi amorosa fra tutti i miei alias. Eppure sarebbe un gioco perfetto, e potrei perfino sviluppare triple e quadruple personalità senza che nessuno mi accusi di schizofrenia. Sarei ilare, commosso, cinico, sentimentale, arrivista, e tutti saprebbero riconoscermi coerenza e logica, e appena una sfumatura irrilevante di eccentricità. Dentro il mio nome ce ne sarebbero cento altri, e ognuno avrebbe una sua fama nel cuore degli amici, inattaccabile e perenne. Con un nome solo invece, che per giunta fa da prologo al cognome, risulto abituale, come tutti del resto, a parte i matti, che in quanto abitati da mille condòmini sono i più realizzati tra gli esseri umani. Il privilegio di avere più nomi è tuttavia anche dei ragazzini - quando giocano a esser cresciuti e si appiccicano vite e mestieri immaginari - e degli attori, che proprio per la disdetta di esser cresciuti si rappresentano fanciulli e fanno far testa coda al tempo. E io, io chi sono? Un bambino? Un uomo? Un ragazzo? Un vecchio? Un attore? Sono, io spero, tutte queste cose assieme, in modo da trovarmi a mio agio accanto a chiunque, ovunque ben accolto, dotato delle giuste parole e dei sentimenti più congrui in qualunque situazione. Tutti quei nomi, tutte quelle età, mi serviranno a dimostrare ogni volta di non essere un corpo estraneo, un'eccezione, qualcuno che sta lì mal sopportato. Perciò, ora che l'ho capito, da questo momento e per il resto della vita e col vostro permesso sarò uno solo e pure moltitudine. E così sia.
Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...
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