Passa ai contenuti principali

Una tentazione


Potrei fermarmi qui, entrare in società con questa ragazza, gestire con estro creativo il bar che affaccia sul molo e vivere innamorandomi ogni giorno. Di lei, delle lune d'agosto, del mare in burrasca e dei pescatori che gettano le reti alla fine della notte. Stavo per chiederglielo, se le andava una joint venture, lei ci avrebbe messo l'arte pasticcera, l'abilità a far disegni d'amore sui cappuccini, e io le mie parole stravaganti, l'impresa di far leggere più libri alla gente presentando scrittori ogni settimana e il progetto di un festival di musica d'autore, con il palco in piazza sotto le lampadine colorate. Che posto che è, questo posto che dico, dovreste vederlo. Sta sull'Adriatico, a nove chilometri da Senigallia, ci sono stato due volte con Alessandra, la seconda tre mesi prima che morisse e non sembrava una cosa imminente: nuotava al largo più forte di me. Qui troverei la pace che cerco e che spero di non incontrare mai, perché le battaglie sfamano la mia vita più delle pietanze sofisticate dei sous-chefs. Ci sono tornato ieri, lusingato dall'accoglienza che la città mi ha riservato: era tutta invasa dal sole e tutta allegra. Ai tavolini all'aperto girava un vento di libeccio che mi suggeriva di restare, trovare un albergo in cui passare la notte, pensarci sul serio, alla prospettiva di trasferirmi. Non sto mica scherzando - pareva dicesse, e io per un attimo mi sono fatto irretire. Ho preso un toast, una spremuta d'arancia, la ragazza che per qualche minuto è stata inconsapevolmente mia socia mi ha sorriso e parlato con quella lingua di zeta sdrucciolevoli che hanno da queste parti, quasi al confine con la Romagna ma ancora in terra di Marche. Bastavano quello e i suoi occhi graziosi perché un uomo meno prudente di me le dicesse Ti amo. E invece no, io sono uno scrittore singolare, dalla visione eccentrica ma dalla vita assennata. E così, per non lasciarle neppure un'impressione di poesia, le ho chiesto dove fosse il bagno, ho fatto pipì, l'ho salutata caramente e sono andato via. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...