Di che cosa avremmo potuto parlare - mi chiedi? Della mia vita. Della tua. Della nostra, che è l'insieme delle prime due ma è anche una terza che ha una natura tutta propria, ibrida e solenne, e degli anni arrembanti che abbiamo attraversato, delle risonanze magnetiche alle quali mi hai accompagnato, di quella volta che ti eri innamorata di un altro e ti son venuta a prendere, sul confine del non ritorno ma un attimo prima che tutto andasse in rovina. E poi di Cent'anni di solitudine, che a te piace e che io detesto, e dei film di Lanthimos, che tu detesti e che a me piacciono. E dei nostri figli, certo, delle loro bizzarre compagnie di giro e dei tatuaggi che hanno sulla schiena, serpenti e pistole, come gli accoliti della mafia cinese. E di tua madre, che s'è fatta arcigna, io credo abbia paura che la pensione non le basti per pagare la badante e le terme a Salsomaggiore. Avremmo potuto parlare perfino del tempo morto, di quelle parentesi di noia che pure flirtano con la creatività: dentro alla bolla del far niente ci viene da suonare e da fotografare come in nessun'altra circostanza. E l'umanità? Non sarebbe stato un altro argomento niente male? Guarda com'è ridotta: fascista, arida e sprezzante, guarda come usa le parole come armi e le armi come stelle filanti. Io e te siamo diversi, avremmo detto, io e te siamo colti, evoluti. Ci sarebbe piaciuto rinfacciarci le qualità come fossero difetti, per riderne e in qualche modo rifocillare questo amore magro. E invece, al posto di tutte queste possibili conversazioni cosa abbiamo fatto, per tutta la sera? Mangiato in silenzio due pizze insipide, bevuto due birre gelate e offerto l'occasione a uno scrittore che sedeva in buona compagnia nel tavolo accanto di interpretare il nostro mutismo e farne narrazione ingannevole.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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