La voce è uguale, forse solo un po' più roca, saranno le sigarette, le ho detto centomila volte di smettere. Avete presente una scimitarra? Quella voce taglia i ricordi come farebbe la lama con un braccio, però sono dodici anni che non ci vediamo e non posso sanguinare così platealmente. Siamo nella hall di un albergo di Roma, c'è una cantante che presenta un disco, una di quelle che piacciono a me, niente pellicce sulla pelle nuda. Sono in ferie perché è quasi San Valentino ma la radio mi ha precettato: vai tu che sei ferrato e sai meglio di chiunque altro quali domande fare. Il caso ha altri nomi, si nasconde, tante volte si chiama destino, altre fortuna, è maschio e femmina, è perverso e innocente. Il caso, qualunque nome oggi vanti, mi fa incontrare Sam, che ho amato in un'altra vita. Mi chiama col mio nome per la prima volta, sorride, nonostante ci siamo lasciati con stizza, è lei, la mia allieva grande, la ragazza che voleva le raccontassi i libri che non avevo ancora scritto. Mi dice che alle otto si libera, io l'intervista l'ho già finita, andiamo a bere una cosa leggera, per restare padroni degli istinti. Mi racconta che ha sbagliato vita e mi chiede di scriverne, perché vuole finire dentro le mie parole, non sa che in certi camuffamenti c'è già entrata, ed è diventata romanzo, rimpianto muto e nostalgia. Io la ascolto in silenzio, lei ha bisogno di quello, non della mia voce, per una volta. Ha quarantadue anni, è brand manager di una multinazionale, una spietata giovinezza le divampa intorno, al suo cospetto tutto sembra rinnovarsi là nei paraggi: il tavolo, i bicchieri, la macchina del caffè, lo stupore della gente che passa e guarda andando via invidiosa. Tutto è come appena nato, come un tempo, quando scappavamo lontano da tutti, dalla scuola, dalla felicità recintata, per rimanere soli in una felicità senza confini. Vuole che sappia che mi ammira, per il coraggio che ho avuto - il coraggio di vivere delle passioni, sapendomi contentare - e che anche lei vorrebbe vivere raccontando canzoni, viaggiando per il mondo in caravan, scrivendo storie inconsistenti, ma non ce la fa, ha scelto una carriera che la soffoca, e vorrebbe tornare indietro. "Non ho messo a frutto i tuoi consigli" mi confessa, e io non ricordo di avergliene mai dati, se non con l'esempio sciocco dei sognatori. E non credevo che un gesto sostanzialmente innocuo, se non imitato, facesse così tanti danni.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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