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Superpoteri

Ho sognato che cambiavo la forma delle cose solo passandoci accanto. Uscivo per la strada, tornavo a casa dal cinema, camminavo per i sentieri di campagna più selvatici e le cose si modificavano, impercettibilmente o in modo più chiaro, e dopo non erano più quelle di prima. Il rosone di santa Restituta, davanti al mercato comunale, s'aggraziava, assumendo la forma ovale del ventre materno; sulla porta di casa dei vicini s'apriva una seconda tagliola sotto a quella che c'è sempre stata, più grossa e profonda, per la corrispondenza d'amore; il fontanile alla sterrata degli aceri aveva una vasca in più, e tutti quelli che amano fotografare i ruderi si sarebbero chiesti com'era stato possibile, dal giorno alla notte. Non era un potere che mi ero cercato, accadeva, come accade una malattia o una felicità. Ci prendevo gusto, a quel punto, e mi esercitavo a controllare quella facoltà stramba perché alcune cose mi piaceva lasciarle come sono, e soltanto quel che era sgraziato, orribile, volevo che avesse un'altra figura. Siccome il sogno continuava, ho sperato di poter fare la stessa cosa con le persone, passar loro accanto e modificarne però gli atteggiamenti, non la faccia, o le rughe, né la curvatura delle gambe. A quel mio amico malalingua avrei suggerito un po' di decenza e la pratica del silenzio; all'altro amico di una vita la coerenza dei gesti - dalla sinistra per cui combattevi da ragazzo al tuo farti capitalista efferato che salto mortale, vecchio mio. A certi altri amori rinunciatari, ai pigri, ai pavidi, avrei modellato come con la creta ma nell'anima una combattività nuova: all'inizio l'avrebbero odiata ma col tempo, capendone un poco la necessità, se ne sarebbero serviti a dismisura. Solamente addosso a te, ragazza, non avrei cambiato nulla, né fuori né dentro. Sei compiuta così, tanto che scrivere di te vorrebbe dire ragionare sulla bellezza, e dunque ridimensionarla, renderla un fatto logico, cosa che gli scrittori fanno solo quando la vita è troppo lontana dalla loro immaginazione. 

 

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