Buon Natale agli artisti che non si fila nessuno, e buon Natale agli artisti che si filano in pochi, purché artisti veri. Quest'anno mi viene così: vedo tanti artisti sacrificati, derisi, che pur conoscono i segreti del mestiere, è un auspicio per loro, che l'anno che viene sia più generoso. A quelli che da soli si definiscono poeti, scrittori - qualche volta l'ho fatto anch'io, pentendomene sempre - auguro l'abilità di saper distinguere la bellezza degli altri, prima della loro. A quelli che credono alla grande bugia che sui gusti non si discute suggerisco un manuale di arte greco-romana. A quelli che han capito che le proporzioni van rispettate, e le simmetrie, e che osservare il canone è necessario anche in una rivoluzione, auguro di non stancarsi di combattere, di riuscire ad affermare un giorno prima della fine del mondo il loro punto di vista, e che sia lunare e disabitato. Si parla da latitudini impossibili, questo fanno gli artisti, si vive solo per comunicare un indirizzo nuovo, costruire uno stile che nessuno ha ancora sperimentato. Gli artisti sono gente schizzata, tu ci parli e qualche volta ti rispondono perfino a tono ma la loro testa è altrove: sono bravissimi a fingere normalità. Che sia un Natale che incrina le certezze, invece, dei tanti artisti che artisti non sono, che tanta gente ha consacrato però, e loro se ne approfittano. Li vedi scrivere banalità in una forma senza tormenti, cantare abomini: sono i figli di quest'epoca eppure giurerei che inquinarono anche altre stagioni, i loro padri, magari, o le loro nonne di malaffare, perché la maggior parte del pubblico vorrebbe la fama dell'artista non la sua dannazione, affolla i gruppi di lettura e si contenta di narrazioni elementari. Tu non perdere la speranza, se hai cominciato da tanto e non cambia mai niente. Tu non rinunciare, se pensi di cominciare ma non ne sei sicuro: tua madre ti vuole commercialista, forse ha ragione lei. E come no. Ricorda che i genitori non hanno mai ragione, neanche per il cazzo, prendi su i tuoi fogli e fagli capire che stai morendo, e che non è un passatempo. Però se stai morendo davvero, perché se non è così allora dalle ascolto e fai lo spettatore, che è anche quella un'arte di tutto rispetto.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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