Che cosa posso farne di quel tempo che non narra nessuno, che non è cantabile perché è solo il passaggio tra un avvenimento e l'altro, come posso disporne, quanto pesa? Ce n'è a bizzeffe ogni giorno e per alcuni è una merce senza valore. A me al contrario sembra vita piena, romanzo, avventura nobile, ma ci vogliono le parole adatte e uno stato d'animo gentile. Il tempo del riposo, dell'inganno, della noia, delle smanie, dell'inconcludenza, è un tempo pieno di sussurri, se ci si fa caso. Oggi per esempio, di ritorno da Fiumicino, mi sono ritrovato sulla stessa strada dell'andata ma da solo, e le voci allegre di prima, dei miei due amori che andavano in vacanza, erano nella mia testa, e le canzoni fatte suonare un canticchìo intonato. Tanti lo definirebbero un viaggio senza storia e invece m'è servito a rimuginare sulla bellezza della mia famiglia strana e innamorata, dove ognuno si fa in quattro per gli altri - e non so quanto nelle famiglie normali si possa dire altrettanto - e pure a ringraziare il destino, che dopo qualche svolta tragica si sta facendo perdonare. Conosco persone che passano il tempo sospeso a scrivere recensioni di dentisti, fisioterapisti, ristoranti, mostre d'arte, cocktail bar, scuole e centri benessere: siamo tutti sotto esame, continuamente, c'è sempre una classifica nella quale ci infilano, c'è sempre una competizione a cui ci istigano. Io che gestisco con fatica anche gli strumenti del mio mestiere - la voce, le narrazioni - non mi azzardo mai a giudicare le professioni altrui perché ci vogliono anni e fatica per un bagliore di competenza. Così il mio tempo molle lo riempio di sogni, strambe prospettive, eccentriche presunzioni: per esempio vincere lo Strega, un giorno, sbronzarmi davanti alla giuria e cantare Viva l'Italia del dodici dicembre a chi non l'ha mai sentita, e farlo commuovere come si commosse mio padre una delle poche volte che accadde, quel pomeriggio in macchina che gli rovesciai addosso quella canzone.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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