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L'isola che aspetta


A diciannove anni, dopo il diploma, io e tre amici partiamo all'avventura. Abbiamo voglia di libertà senza sapere con precisione cosa sia. Viaggiamo fino a Brindisi con la macchina di Osvaldo - un'Alfetta amaranto di terza mano, - io, lui Rosanna e Giada, la imbarchiamo sul traghetto e in una notte siamo a Patrasso. Da lì comincia il mito, la terra che abbiamo solo annusato sui libri si spalanca agli occhi, la camminiamo, ne respiriamo la polvere, mastichiamo il suo alfabeto che è come una canzone misteriosa, mangiamo la moussakà e i souvlaki, facciamo il bagno nell'Egeo. Giriamo a caso, dormendo sulla spiaggia, in macchina, in un paio di ostelli. A mia madre dico che abbiamo prenotato gli alberghi lungo il percorso, che è tutto studiato perché non ci siano imprevisti. Invece proprio degli imprevisti andiamo in cerca, e ci comportiamo in modo così osceno da non poterlo raccontare neanche adesso, dopo quasi quarant'anni. Un giorno, in una caffetteria di Atene, mentre i soldi cominciano a finire, scopriamo che dal Pireo viaggiano navi fino a Santorini, ci vogliono altre dieci ore e le nostre ultime dracme ma non siamo arrivati fin lì per rinunciare a qualcosa: il motto del viaggio è far tutto quello che ci viene in mente, senza tentennamenti. Ci cambiamo camicie e mutande in un hammam a buon mercato e salpiamo. Siamo nelle Cicladi, è tutto maestoso, scintillante, il vento soffia come dentro a un aulòs, ha una voce millenaria. Ci spiegano, mezzo in italiano mezzo in inglese, che Santorini sta sopra a una caldera, una specie di vulcano che può riattivarsi da un momento all'altro. Tremila e cinquecento anni fa sventrò l'isola, che era circolare e a cui adesso manca la pancia, la parte centrale, inabissata. Gli abitanti lo sanno, ogni tanto la terra trema, le case azzurre tentennano, sembra che si incurvino sull'acqua, le donne più vecchie pregano, i giovani esorcizzano la paura in discoteca. Non ho mai visto tanta bellezza, mai ne vedrò tanta, in nessuna altra parte del mondo. Tornando a casa, due giorni dopo, intuisco con una specie di presagio come sarà la mia vita. Come Santorini: meravigliosa e in pericolo, eterna e traballante. E anch'io come l'isola so che aspetterò il cataclisma definitivo dopo aver brillato al sole per tutto il tempo. 

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Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia

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Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma