Ieri avrei voluto avere quarant'anni, una figlia di sei e una moglie viva. E le ho avute, tutte quelle cose, in un certo senso: le ho immaginate. Poche volte riesco con la fantasia a figurare la realtà, ieri sì, era tutta attorno a me. Se esiste una seconda occasione vorrei che fosse questa: annullare gli ultimi quindici anni coi loro disastri e le ipocondrie e riavvolgere il nastro. Io solo lo saprei, l'immaginazione ha questo potere. Io soltanto saprei quel che succede da quel momento in avanti, e farei di tutto per evitarlo. Ti ho tenuto poco per mano, figlia mia, vorrei farlo di più, e nascondere una seconda volta la ghianda nel tronco cavo. Ricordi? Dissi Torniamo su quest'inverno e vediamo se c'è ancora, o se uno scoiattolo l'ha rosicchiata, e tu hai voluto che ti prendessi in braccio per spingerla più in fondo alla quercia. Tua madre ci guardava, era appena stata dalla parrucchiera, aveva i capelli neri, a parte noi due erano il suo unico vanto, la sua dolcezza era velata da un presagio, come il cielo quando si sporca di fabbriche. Dentro al paese, mentre cercavamo una trattoria, ti ha raccontato di quando da bambina le venne una tosse ostinata, e sua nonna la persuase a pregare, che così le sarebbe passata. Tu non sembravi tanto convinta, ecco perché adesso non preghi mai. In questo stesso posto, dove i vecchi ai tavoli del bar sentenziano su qualunque cosa senza mai esser usciti in tutta la vita dal perimetro della campagna, in stagioni diverse, già straziate e ricucite alla meno peggio, ti accompagnavo a prendere l'autobus per la città, e me ne tornavo a casa con un peso addosso che non sapevo con chi spartire. Erano anche quelli anni discretamente infernali, in cui disegnavi gli occhi, il naso di tua madre e nascondevi il foglio in fondo all'armadio. Tutto questo lo so, è già accaduto, e farei di tutto per non vederti di nuovo morire muta, ed esser costretta a rinascere piano con la forza ereditata da lei, non da me. Ma a conti fatti onorerei questo tempo che abbiamo, che finalmente ti trova felice.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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