Ti sento, autunno, bentornato. Ti sento nella malinconia ingiallita, nelle foglie che prendono il giro del vento, nella mia vita piena di persone eppure solitaria, perché uno scrittore ne ha due di esistenze: una per sé soltanto e una per gli altri. La memoria, quando tu arrivi, si fa aspra e rigogliosa come i filari dell'uva e mi scorta indietro nel tempo, fino alle stagioni della scandalosa felicità. Oggi mia figlia mi ha mostrato una foto in cui è in braccio a sua madre. Oggi mi ha scritto un'amica, ed è sempre una lusinga, e una tentazione lieve. Oggi ho viaggiato, sbadigliato, riso, litigato con la Tim e mangiato verdure grigliate. Oggi è un altro giorno da raccontare. C'è più gusto, autunno, a far le cose colle giornate più corte, le camere d'albergo scontate, la città che si stiepidisce, canta con le orchestre in piazza e addobba i cortili di tavoli all'aperto. Siamo stati al ristorante, io e mia figlia, venerdì. Io, mia figlia, la sua donna ed altre amiche e amici. Esseri umani che ho la fortuna siano nati nella mia stessa epoca, tanto son belli e giocosi. E svegli, guardinghi, intelligenti. E tanto è nobile scherzare con loro e farsi ascoltare, perché se ho un difetto è che mi piace raccontare storie, ma solo se me lo chiedono. Amo questo tempo impari, questa infelicità che improvvisamente cambia vestito, si snuvola e diventa il suo contrario, così, di botto, senza una ragione. Amo le voci e amo tutti i silenzi sulla strada per il mare, quando rientriamo e non ti va altro suono che quello del motore, mentre ritorno a due ore, a un'ora, a quindici anni fa, che la situazione era tutta diversa ed è difficile da spiegare a chi non c'era. Dalla terrazza dei Ghibellini si vede un pezzo di pianura, tra i fumi la città industriale e più in qua il palazzo della mia infanzia, disabitato, con una pianta di fico sul tetto. Ci entrano degli operai, certi giorni, ma non so che diavolo di lavori fanno. Sotto, dove c'era la farmacia Alberti, hanno aperto un locale nuovo: ci si va a bere, fondamentalmente. Dovrò cominciare, se voglio scrivere ancora meglio di tutta questa bellezza che non riuscivo a vedere, e che adesso appare finalmente nitida e incorrotta.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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