Oggi ho preso e sono andato via, perché ogni tanto è bello prendere e andare via. Tagliar corto al lavoro, spegnere l'aria condizionata, lasciare che una replica corra dentro i fili della radio e arrivi a chi cerca disperatamente un po' di musica come si deve. Ho pensato alle persone che mi vogliono bene, che non sono poi tante. Il bene vero, dico, quello che resiste alle intemperie. Ho immaginato che potevano sopravvivere un giorno senza mie notizie, ho spento il telefono e ho fatto benzina. Mi piace guidare in buona compagnia, ma non mi faccio problemi a viaggiare da solo, se lo stato d'animo lo richiede. E oggi il mio stato d'animo era bello combattivo, persino presuntuoso, e allora son partito, alla faccia dei presagi e delle paure. Il bello è che non sapevo dove andare, e non è tanto per dire: non ne avevo proprio idea. Così ho lasciato che i muscoli delle gambe e delle braccia si ammutinassero e a colpi di gas e di sterzo scegliessero la strada in vece mia. A un tratto - come scrivono i romanzieri di poca fantasia - mi son trovato al bivio tra Montalto e Tarquinia, e in altri tempi non avrei avuto dubbi sulla destinazione. Invece stavolta ho deviato per Montalto, dove non andavo dal 2005: non è da me non tornare in un posto che amo per così tanto tempo. Quella volta affittammo un appartamentino che di giorno ci rosolava a fuoco lento ma aveva il pregio, di sera, di disporre di un giardinetto romantico dove si stava da ricchi, e dove scrissi un dannato racconto che si chiama L'ospite notturno, il primo di una lunga serie di storie malinconiche sui concetti di tentazione e pentimento. Ricordo con dolorosa felicità quella vacanza. In spiaggia andavo da solo, perché le mie ragazze preferivano girellare per mercatini, e mi feci una cultura sui romanzi di Nero Wolfe e sulla loro architettura perfetta. Ammetto che un paio di volte guardai il culo alle bagnanti ma lo fanno tutti, e comunque rientrava nell'indagine su quei concetti nominati sopra, e sui quali non sto a dilungarmi. Quel giardinetto c'è ancora, quella casupola infocata è lì: ospita un'altra famigliola i cui membri non sanno se toccherà loro di invecchiare insieme o, com'è capitato a noi, d'esser devastati dal destino. In fondo la fortuna che abbiamo è quella, ho ragionato rincasando: nessuna capacità di prevedere il futuro.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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