Ecco un'altra estate che s'acquartiera sulle rovine della gioventù, sugli amori tenuti in vita con ostinazione, sulla nostra solitudine di numeri non primi cui tocca però lo stesso destino. Ecco il tempo delle stanze vuote che non credevo di dover più vivere, ecco i ricordi che s'imbrancano come ragazzi sulla spiaggia, il primo giorno di vacanza. Ecco mio padre che in certe sere afose come queste mi propone un pezzo di strada assieme, una divagazione prima di cena, per me il regalo più ambito. Arriviamo alla fine del marciapiede, dopo la curva della Memoria, e lì mi mette in guardia sul tempo sprecato a stare da soli, che adesso lo so, ha zanne e artigli. Ma ha discrete controindicazioni anche la convivenza se non hai le spalle larghe, e allora non saprei cosa sia peggio. Ecco tutta la gente che ho attorno che piano piano va via, esce di scena, saluta se fa in tempo, altrimenti non regala niente e non ricordi nemmeno qual è stato l'ultimo discorso, se compiuto o lasciato lì, sospeso, a mezz'aria. Ecco il campanello che non suona più, le buste della spesa che nessuno posa più sul tavolo, le merende d'estate con il gelato da tirar fuori all'ultimo, le voci rassicuranti di un coro che ha perso gli orchestrali uno dopo l'altro. Ecco la notte, ecco la paura di non saper a chi rivolgersi, da chi farsi curare questa tristezza ostinata. Ecco la tenerezza, che è l'emozione che oppongo al tempo. Ecco le mie pagine, migliaia, scritte tutte per necessità, ecco le parole degli estranei che entrano rispettosi nella mia vita e per intercessione delle quali la traggono in salvo. Ecco il conforto di un'altra stagione, quella della consapevolezza, dell'amore cui dar meno peso, degli innamoramenti come a quindici anni, di una nuova visione del dolore. Ecco, infine, questa piccola risorsa benevola, queste memorie infilate come gallerie sulla strada per il mare. Ed ecco la libertà di prendere a bordo tutti i miei allegri fantasmi e portarli a vedere il mondo, per capire se si distraggono e mi lasciano respirare.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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