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Cecità

Ieri ho visto una ragazza cieca, a uno di quegli eventi di moda dove si mangia cibo per strada. Pioveva, avevano acceso le braci sotto ai tendoni, la gente faceva la fila con gli ombrelli, qualcuno si è dato per vinto, è andato via. Stava con un'amica - forse la sorella ma non si somigliavano - che l'ha guidata tra i tavoli finché non ne han trovato uno libero e si son messe a mangiare hamburger. A me ultimamente la carne non va e allora ho preso a guardarle. Così faccio, quando ho bisogno di una storia nuova, che mi ravvivi la fantasia come un mantice la fiamma sotto a quei manzi d'Argentina. Non sembrava che fosse in collera con dio; io al suo posto lo maledirei ogni giorno, e alla sera implorerei il suo perdono. Mangiava tranquilla, l'altra le porgeva ogni tanto il bicchiere di coca, ridevano perfino, raccontandosi certi amori impossibili che le rendevano felici, prive di desideri. L'amica sana sembrava condividere la stessa sorte: direi che si erano scelte, il che è una fortuna che capita a pochi. La sera ha spiovuto e ho camminato fino a porta Romana, dove il Comune ha tagliato alberi che stavano lì da che ero bambino. Ho letto un po' il libro che avevo appresso - l'ultimo di Eraldo Affinati - poi ha preso a dolermi il collo e ho girato la testa verso l'alto, in cerca di sollievo. Nella casa di fronte, a una finestra spalancata, un gatto stava placido, a bearsi dell'ultimo sole. Stava lì, sul confine tra le stanze e il vuoto, privo di vertigini, presuntuoso. Si è leccato il pelo, poi con sufficienza è saltato giù, dalla parte del baratro, ed è atterrato senza un graffio. Che bello che era. Che bella che è stata la scena, ragazza cieca, se avessi potuto vederla. Avrei pagato di tasca mia perché tu fossi lì, e avessi occhi per tanta bellezza. Non per le cascate del Niagara, le colazioni sull'erba o un film da cento Oscar. Solo per un gatto acrobata e la sua indifferenza alla morte. 

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Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia

Lasciami andare

Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma