Lì, mi hai preso la mano lì, che modo eccentrico di fare l'amore. Te lo ricordi? Avevi sedici anni e io quattordici, eri una ragazza strana, per niente attratta da quelli più grandi ma abbastanza da un pulcino come me. Ti venivano dietro in tre, tutti sui diciotto. Quando capirono che li evitavi e preferivi la mia compagnia mi aspettarono dietro al luna park e mi gonfiarono di botte. Tornai a casa col naso che sanguinava e mia madre non si scompose: da giovane era fatta così, meno apprensiva. Tenni il ghiaccio sulla fronte e quando il sangue smise di colare uscii a cercarti. Il mare era fermo, la spiaggia si svuotava dei vecchi, che andavano a cena in albergo: pensione completa. Ti trovai che leggevi La ragazza di Bube, io avevo cominciato a leggere seriamente per via della professoressa del Ginnasio, che m'aveva svezzato con Silone e Pratolini, però quel libro non lo conoscevo e tu mi hai preso in giro. Avevi un modo di fare diverso da tutti, anche quando mi prendevi in giro eri amorevole. Mio padre a volte mi derideva perfino davanti ai suoi amici, e non sortiva lo stesso effetto. Mi chiedesti chi me le aveva suonate ma già lo sapevi, e io comunque non feci nomi. Camminammo per le vie del centro mentre le lampadine colorate si accendevano sopra le bancarelle di bracciali e calamite. Camminavi scalza, odoravi di crema solare, eri più alta di me. Pure te stavi al mare con tua madre, perché tuo padre era scappato con una americana, due anni prima. Il mio invece era in tabaccheria, niente ferie quell'anno, la mia vità era un romanzo meno appassionante. Non ho mai visto nessuna città di mare più luminosa di quella, nessuna vacanza mai più è stata così feroce. Ho smesso di essere un adolescente quella volta lì, sono cresciuto tutto assieme. Ti dissi che con te stavo bene, fu tutto l'amore che fui capace di manifestare. Prima di ripartire, mi confessasti che il dolore sarebbe stato mio compagno di viaggio per un gran tratto di vita e che ovunque, vicino a chiunque, mi sarei sentito imperfetto: cos'eri, una specie di maga? Ogni tanto ti penso, ma non vorrei mai rincontrarti: è tutto compiuto così, nel ricordo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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