Seduto sulle scale della mia città, oggi che è il tre di gennaio, guardo le cose come sono cambiate, e immagino come cambieranno da quest'anno in poi. Ho scelto di combattere, per questo scendo a patti col tempo, in caso contrario lo lascerei fare infischiandomene se è passato o futuro. Mi serve che lui mi assecondi: ho così tanti sogni che potrei riempirci altre due vite e le ambizioni di ognuno di loro sono vanterie di cui ogni tanto - come ora - faccio racconto. Fin da ragazzo non abito in una casa e forse è per quello che ne ho cambiate mille: vivo invece dentro le canzoni, nei tradimenti che diventano veniali se c'è uno che li canta da dio, nelle chitarre arrangiate in un certo modo sentimentale, nelle sincopi e nelle sinestesie. Ogni ricordo e ogni immaginazione han bisogno di parole come io di vestiti: mi ci vedreste ad andare in giro nudo come un verme? Ecco il motivo per cui il vicolo che scende verso la scuola delle suore oggi è diventato narrazione. Siete curiosi? Sentite qua: avevamo dieci anni, quinta elementare, e ci prendevamo a cornate ad andare e venire, come gli stambecchi di Erri De Luca, perché eravamo giovani e vanitosi, specie se le ragazze erano nei paraggi e ridevano con le bocche graziose delle nostre bambinate. E poi ho abitato nei romanzi, benedetta sia la mia indole che non mi ha mai fatto pratico del mondo. Ho giocato sulla terra dura della via Paal e navigato sull'Hispaniola con capitan Flint, lestofante dal cuore d'oro. Mi sono trasformato in scarafaggio e mi hanno ucciso a colpi di mela e ho tirato un arpione da sessanta libre contro la balena bianca. Ho amato Lolita e carezzato il suo solco glabro, tiepido come il paradiso, e ho tirato dinamite ai franchisti assieme a Robert Jordan. E poi mi son fatto camaleonte e vanesio, e ho maturato la pretesa di scrivere a mia volta, presuntuoso che non sono altro. Tutto questo però per me è stato e sarà vivere. Vivere e combattere. Qualsiasi scelta differente sarebbe stata una sconfitta perché avrei tradito la mia anima. E quell'empietà non me la sarei mai perdonata.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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