Facciamo finta che la notte stanotte non sia finita, che alle sei non sia spuntata l'alba e che tutti, in tutto il mondo, compatibilmente coi fusi orari, abbiano continuato beati a dormire. Magari dopo un piccolo soprassalto, come a dire Ma non dobbiamo alzarci? ma poi han visto che fuori era buio e si son girati dall'altra parte, ricominciando a ronfare. E facciamo finta che il giorno che non è nato fosse necessario per raffreddare i bollenti spiriti, svuotare i cuori colmi di rabbia, abbassare la pressione arteriosa, disarmare i violenti, dissuadere gli stati-canaglia da nuove invasioni. Durante tutto quel giorno che giorno non è, lungo il cammino di tutte quelle ore oscure, gli uomini hanno imparato la temperanza, hanno eletto la lentezza dei gesti, dei viaggi in macchina, delle conversazioni, dei pensieri, al posto della velocità e dello sfreno. E l'hanno imparato per l'appunto dormendo, quasi in modo subliminale, come qualcuno da universitario faceva con i libri di seicento pagine sparati nelle orecchie in un pomeriggio. Al risveglio, dopo il grande sonno di ventiquattr'ore, ci siamo misurati le smanie, le ambizioni, e ci siamo accorti che s'erano accorciate, indebolite, e così, dopo un'abbondante colazione alla quale abbiam dedicato tutto il tempo necessario, siamo scesi in strada e per i giardini, siam saliti sugli autobus e sui grattacieli e a un certo punto le divinità cui sacrifichiamo la vita sono apparse nella loro vera natura: paccottiglia. Ci siamo meravigliati, congratulati l'un l'altro, rifocillati di parole piane, comprensive, ci siamo perdonati gli sgarbi, abbiam deciso di non guardare più i talk show e di partire per il mare. Non tutti insieme, che non ci saremmo entrati, sulla spiaggia, ma a scaglioni, centomila persone alla settimana, e alla fine abbiamo inventato la Giornata Mondiale del Sonno, da celebrare una volta all'anno in tutto il pianeta. Sei miliardi di persone che dormono contemporaneamente per un giorno e una notte interi. Chi se lo immaginava che bastava riposare un po' di più per cambiare il mondo?
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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