Facciamo finta che la notte stanotte non sia finita, che alle sei non sia spuntata l'alba e che tutti, in tutto il mondo, compatibilmente coi fusi orari, abbiano continuato beati a dormire. Magari dopo un piccolo soprassalto, come a dire Ma non dobbiamo alzarci? ma poi han visto che fuori era buio e si son girati dall'altra parte, ricominciando a ronfare. E facciamo finta che il giorno che non è nato fosse necessario per raffreddare i bollenti spiriti, svuotare i cuori colmi di rabbia, abbassare la pressione arteriosa, disarmare i violenti, dissuadere gli stati-canaglia da nuove invasioni. Durante tutto quel giorno che giorno non è, lungo il cammino di tutte quelle ore oscure, gli uomini hanno imparato la temperanza, hanno eletto la lentezza dei gesti, dei viaggi in macchina, delle conversazioni, dei pensieri, al posto della velocità e dello sfreno. E l'hanno imparato per l'appunto dormendo, quasi in modo subliminale, come qualcuno da universitario faceva con i libri di seicento pagine sparati nelle orecchie in un pomeriggio. Al risveglio, dopo il grande sonno di ventiquattr'ore, ci siamo misurati le smanie, le ambizioni, e ci siamo accorti che s'erano accorciate, indebolite, e così, dopo un'abbondante colazione alla quale abbiam dedicato tutto il tempo necessario, siamo scesi in strada e per i giardini, siam saliti sugli autobus e sui grattacieli e a un certo punto le divinità cui sacrifichiamo la vita sono apparse nella loro vera natura: paccottiglia. Ci siamo meravigliati, congratulati l'un l'altro, rifocillati di parole piane, comprensive, ci siamo perdonati gli sgarbi, abbiam deciso di non guardare più i talk show e di partire per il mare. Non tutti insieme, che non ci saremmo entrati, sulla spiaggia, ma a scaglioni, centomila persone alla settimana, e alla fine abbiamo inventato la Giornata Mondiale del Sonno, da celebrare una volta all'anno in tutto il pianeta. Sei miliardi di persone che dormono contemporaneamente per un giorno e una notte interi. Chi se lo immaginava che bastava riposare un po' di più per cambiare il mondo?
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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