Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di raccontarle sua madre come non avevo mai fatto, rendendola cieca alla speranza. Lo sfacelo era già cominciato: mangiavo poco, ascoltavo canzoni tristissime, guardavo film allegri che picchiavano forte sui ricordi, traumatizzandoli. Non mi sono mai attaccato alla bottiglia, allora me ne rammaricai ma se l'avessi fatto oggi sarei uno di quelli che siedono in cerchio accanto a un terapeuta e quando tocca a loro salutano e dicono qualcosa del tipo Oggi sono dodici settimane, tre giorni e nove ore che non mi sbronzo. L'estate del 2013 la passai sul balcone di via Patrizi, mentre sotto i ragazzi facevano le ore piccole tenendomi chiassosamente compagnia. Poi successe una cosa nuova, come succedono le cose cui non sappiamo dare una ragione: una mattina d'autunno decisi di farmi la barba come fossi felice, mi misi la giacca migliore che avevo e andai a scuola tutto in tiro. I miei ragazzi se ne accorsero, che avevo svoltato, e a modo loro mi fecero festa, perché il dolore era finito: anche lui finisce, e chi lo crede immortale deve solo aspettare.
Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab
❤️
RispondiEliminaGrazie del cuore
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