Il mistero è svelto ma certe volte lo frego, e sulla sua faccia imperturbabile si apre uno squarcio, filtra la luce, per un attimo riesco a sbirciare dall'altra parte. Quello che vedo è sempre la stessa cosa: un po' spaventa e un po' consola. Succede di notte, le gran volte, se un rumore mi strappa dal sonno - l'aria che scoppia in una bottiglia, un gatto che baruffa con la sua ombra - e lui non fa in tempo a nascondersi. Sta laggiù, dove la prua del letto fende l'oscurità e attraversando il mare agitato dei sogni orienta al mattino. Ha l'aspetto di un cappotto appeso a un gancio, e se volessi essere meno inquietante direi che somiglia a Macchia Nera, l'arcinemico di Topolino. Però lo vedo per un istante, lo intuisco appena, tanto che non saprei dire se appartiente all'incubo che ho appena lasciato o alla realtà a cui son riemerso. Una notte o due, anche di recente, sembrava avere mani luminose; un'altra volta occhi come faville; e insomma c'è sempre una parte del suo corpo che è accesa, pulsa e se commetto l'errore di guardare meglio, aguzzare la vista, ecco che scompare. Non che lo veda andarsene: ha mani ma non ha gambe, e non ha voce, e non fa rumore, e dove un attimo prima stava, ritorna la sedia coi calzoni appoggiati male, davanti alla libreria coi romanzi che non ho ancora letto. Se qualcuno sapesse interpretare queste apparizioni fulminee con altri motivi che non siano suggestione o la pizza crudiccia della cena con un'amica, sono pronto ad ascoltare. Io spero siano piccole invasioni da un altro mondo, curiosità di anime vaganti, e se è una cosa che succede anche a voi, sapete che non sono matto, e magari sperate con me che sia qualcuno andato via troppo in fretta, che di tanto in tanto torna a sincerarsi di come stiamo. E così, ombra tra le ombre, si compiace se almeno dormendo siam felici, ci sente russare e non se ne lamenta, guarda i nostri sogni come noi un film, ride se ci scappa una scoreggia e si intenerisce a scoprirci ancora così tenacemente abbarbicati alla vita.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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