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Resto qua

Fosse per me saluterei tutti con un inchino e me ne andrei in collina. Stasera stessa, dico, tra un po': il tempo di fare una spesa grossa e riempire la macchina di libri tachipirine e film da vedere di notte. Lassù, tra le brume novembrine, non mi farebbe schifo avere in tasca una scacciacani, per far paura ai cinghiali quando grufolano nella radura senza sparargli sul serio. Non mi servirebbe molto altro, a patto che un'amica che so io mi venisse a trovare di tanto in tanto - secondo i suoi capricci, beninteso, non certo i miei, la qual cosa sarebbe perfino più divertente perché imprevedibile. Su quella gobba dell'Appennino, nell'aria celeste che non sa di fumi industriali, dove i sentieri francescani tagliano le piste del turismo slow e ne vien fuori un garbuglio che pure ha un suo senso, ci ho aspettato mia figlia che tornava dalla città, le sere che eravamo sfollati non per una guerra ma per una vita che stava cambiando, e dovemmo tutti isolarci un momento per capirla meglio. E prima, da ragazzo e poi da uomo irriconoscente, da queste parti ci ho esibito tutta la felicità possibile, in pomeriggi che s'allungavano fino a tingersi dell'ombra che scendeva dal cielo, a coprire tutta l'innocente oscenità che io e una qualche altra amica - cui parlavo di romanzi che non conosceva - eravamo stati. Ho fatto il teatrante tutta la vita, ho rappresentato me stesso a tutti coloro che lo desideravano, e a nessuno che non ne fosse curioso. Ora ho il desiderio di passarci una stagione - l'autunno. Desiderio che non esaudirò. Perché sarebbe una resa dei conti potenzialmente letale stare tanto tempo là dove, nonostante abbia recitato, per paradosso mi son tolto tutte le maschere che avevo, e sono stato quello che avrei sempre voluto essere: un uomo libero. Libero di assecondare la mia indole, che è irrequieta e stufarella, libero di essere prigioniero dei ricordi senza che nessuno storca il naso. Ragion per cui, dal momento che la libertà è un lusso che non posso concedermi, resto qua. 

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Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

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Il giorno della morte di Silvio Berlusconi mi arriva un messaggio sulla chat di Facebook: Ciao, hai visto che anche lui se n'è andato? e così mentre il cuore salta un paio di battiti mi ritrovo a Montalto di Castro, è il 1983, ho sedici anni. Eravamo partiti in due ma l'amico che venne con me faceva le sei del mattino in discoteca e poi dormiva tutto il giorno, cosicché me ne andavo a spasso per conto mio, in bici, per capire un po' meglio che bestia fosse la libertà. Per inciso confesso che dopo quarant'anni devo ancora scoprirlo: l'ho sentita pronunciare da così tante lingue biforcute, quella parola tronca, che mi si sono confuse le idee. Certi scrittori di cui ho venerazione giurano che esser liberi significa non sapere mai per certo cosa voglia dire: se così è allora sono libero, e tanti saluti. E a parte questo, quell'estate fu maestosa. Di primo pomeriggio guardavo Mister Fantasy - coi videoclip di Madonna e dei Frankie goes to Hollywood, e dev'essere