Capitava sovente che Gastone si annoiasse, caratteristica tipica degli irrequieti, e allora mi convocava nella stanza del cinema e suggeriva una nuova avventura. Là dentro, dove montava quei filmini familiari che oggi conservo come reliquie di Padre Pio, complottava ai danni delle coronarie di mia madre perché ogni volta era un inoltrarsi in un bosco sulle tracce di un istrice, uno stare in piedi sul sedile della Dyane, la testa fuori della capote, a filmare la città, un viaggiare fino a Todi e Spoleto - per Rita luoghi remoti come le Indie - per un concerto di musica barocca. In quel modo Gastone alimentava la mia curiosità - e chissà se invece non è meglio vivere sobri, senza vaneggiamenti, sogni assalenti, benedicendo il sonno che ci allena dolcemente alla morte. Io il sonno lo detesto perché mi sa di tempo sprecato, e così mi alzo prestissimo, ancora innamorato se mia moglie di notte è venuta a trovarmi, e talora, prima di andare in radio e a scuola - oppure appena comincia il pomeriggio - prendo per uno di quei viaggi brevi a cui Gastone mi educò. Là rivedo mio zio, e lo risento, e con la sua voce m'arriva l'arranchìo della macchina da presa, e della pellicola che ogni tanto s'inceppava e toccava districarla in penombra, altrimenti s'inondava di luce e addio a tutto il lavoro. Ieri per esempio ho parcheggiato sotto la Rocca e camminato fino a Caprile, che la mia fanciullezza ha sempre scambiato per una terra misteriosa, chiazzata di laghetti che rimbalzavano attorno i raggi del sole e dove una volta un amico di famiglia svenne perché era epilettico. Sentimmo il botto e dovettero rialzarlo in tre, appoggiarlo con la schiena al fusto di un albero e aspettare che si riprendesse. Lo sapevano tutti, che poteva succedere, ma lui per sicurezza andava in giro con un foglio in tasca in cui ringraziava anticipatamente quelli che lo avrebbero soccorso. Nel caso stavolta non mi risvegli - c'era scritto. Insomma, mi sono divertito, anche se di magia ce n'è rimasta poca, tra quella campagna. Oggi ci passano i Suv, e c'è un metanodotto che ha sventrato la foresta. Ciononostante, a un tratto m'è corso un brivido a sentir rovistare in mezzo ai cespugli: magari era un cinghiale, e aspettava mi togliessi di torno per attraversare il sentiero.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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