Forse mi tatuo anch'io, dopo aver visto il tatuaggio più bello di tutti quelli che ho visto in tutta la vita mi tatuo anch'io. Non mi farei scrivere la pelle se non per un'ottima ragione, e quale ragione è più ottima e sgrammaticata di quella che una ragazza maschietta e carina, coi capelli corti per lasciar scoperto il collo, ha deciso di difendere facendosi inchiostrare sotto la nuca la parola Reciprocità? Il caso ha voluto che un paio di giorni or sono lei fosse davanti a me, in fila al cinema, e che io curioso come un gatto mi sia avvicinato per leggere meglio. Era proprio quella parola là: impegnativa, magnifica e aulente. A dir la verità quel che profumava erano i suoi capelli ma io, per un inganno del naso, lì per lì ho pensato fosse invece l'idea - quella senza dubbio grandiosa che aveva avuto a farsi tatuare quella parola. Deve avermi intuito, perché ha mosso appena un po' la testa, mi ha scoperto e allora mi sono ritratto, rosso in viso. Ha sorriso, a quel punto, perdonandomi già che c'era una colpa tanto innocente, se è vero che al momento di entrare in sala mi ha sussurrato misteriosa Mi sa che tu sei quello che parla in radio e poi ha raggiunto il suo posto. Lì mi sono accorto che stava assieme a un ragazzone dall'aria ottusa e me ne sono dispiaciuto. Come potesse una ragazza che esibisce quella parola incredibilmente evoluta farsi accompagnare da un tipo del genere, non me lo so spiegare. Ma magari sono solo amici, e poi le apparenze ingannano. Per tutto il film ci ho pensato, alla reciprocità, facilitato dalla stupidità squisitamente americana della storia. E ho concluso che quella parola ha un peso enorme o leggiadro, a seconda di come la intendi. Può voler dire che a tutti spettano le stesse occasioni, e che le opportunità vanno condivise. Sempre. E questo è il senso leggiadro. Ma può anche voler dire - ecco il peso maggiore - che ci tornerà indietro tutto ciò che avremo fatto, nel bene e nel male. E allora, ragazza mia, non so chi sei ma dio ti benedica per ricordarlo a ogni tuo passaggio con tanta fierezza.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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