Prendere e partire certe volte è la scelta migliore. Ficcare le mutande pulite e il dentifricio in una sacca e togliersi dalle scatole i paraggi consueti. Serve a combattere la depressione del fine settimana, che arriva insidiosa verso le undici del venerdì sera, come un'amica molesta che parla parla e insinua che i due giorni successivi saranno micidiali. E così non fa in tempo a spuntare l'alba che sei già in macchina, dribbli gli ambulanti che scaricano l'insalata per il mercatino settimanale e in dieci minuti ti ritrovi all'imbocco dell'autostrada. Firenze o Roma? Nord o sud? E se andassimo a Cortona? Ma ci siamo già stati; Sì ma è stato un mucchio di anni fa; Ma nemmeno tanti: è che sembrano tanti perché in mezzo c'è stata la pandemia; Dici che ha dilatato il tempo percepito? Ci puoi giurare. A Cortona è tutto bello; quasi tutto, via. C'è Vincenzo Martini, pittore di frati che giocano con la neve e volano in mongolfiera; e ci stanno i ristoranti ricavati dentro le segrete di una prigione: è là, al fresco delle mura secolari, che ti servono la zuppa di ortica, lenticchie e zenzero con la cortesia trattenuta dei dispensatori di miracoli. E poi è sempre a Cortona - una Cortina esagerata - che puoi dormire in un palazzo del centro a cui da fuori non daresti un soldo di fiducia e che invece una volta dentro ti fa innamorare, tanto che vien voglia di fermarsi per tutto l'inverno. Travi a vista, saletta comune con camino - per chiacchierare tra estranei come investigatori inglesi alle prese con un rompicapo - buffet sobrio, dove puoi farti il caffè da solo senza che nessuno stia lì a sindacare se ne hai preso più del consentito. Fuori, prima che arrivi la notte, in piazza della Repubblica, c'è un ragazzo che con la chitarra e una sonagliera legata al piede canta canzoni americane e una ballata di Samuele Bersani. Mi piazzo sulle scale del municipio e mi sparo tutto il concerto, e attorno s'assiepano facce fantastiche di uomini dipinti, che sembrano usciti da Le fate ignoranti e una coppia attempata. Accanto a lei svolazza un piccione, e il marito, sciocco, le fa Non hai mai visto un uccello in vita tua? e lei, genio che non è altro, Certo, ma così vivaci non me li ricordavo. Mi alzo, lascio cinque euro nella custodia del suonatore e vado via ridendo sotto i baffi, come di norma capita soltanto agli uomini fortunati.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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