Benvenuti nella casa dei fantasmi, benvenuti, ben arrivati nella casa dove i fantasmi son di casa. Eh già, perché ogni volta che ci entro, e dopo aver posato le bisacce per terra, messo a caricare il cellulare, sfamato i gatti, spalancato le finestre, sistemato la spesa del weekend, ecco che una porta cigola in assenza di vento, un'ombra passa sul muro e vola via, l'anta dell'armadio si apre per fatti suoi, un rubinetto gocciola solo se non lo guardi e una lampadina si accende a suo capriccio, sul comodino. Non tutte le cose insieme, beninteso, ma sono successe, in questi anni, tutte quelle che ho detto, e forse qualcuna di più che non ricordo, o che per paura fingo sia stata illusione. Da queste parti - mi confessava un amico anni fa - tra il promontorio di Itieli e la selva francescana che scende fino a Sant'Urbano, han visto luci inspiegate e avvertito sussurri anodini un sacco di persone savie, e in poche sono andate a raccontarlo. Per alcuni il mistero non esiste, se lo ignori, che è un modo di ragionare pure comprensibile, tipico di quelli che scelgono tra tutte la soluzione psicologicamente meno impegnativa. Sta di fatto che tra questi muri di pietra e nella radura che li lambisce come un'onda ferma ho collezionato qualche esperienza eccentrica, che naturalmente non esclude la suggestione ma neanche la elegge a causa esclusiva. Mi son sentito chiamare da Gastone, una sera, tre anni dopo che era morto. Stavo lì da solo, a lavarmi i calzini e a tagliare una fetta di pane. Sarà stato aprile, il cielo cominciava ad aprirsi, venivamo da un inverno furente. Che diavolo ero salito a fare, chi se lo ricorda. Perché da solo poi. E comunque avevo appena steso i calzini e affettato pure due pomodori che Gastone mi chiama, lì sulla radura, ed era la sua voce certificata, seguita per giunta dal fischio di riconoscimento che usava sotto casa quando non gli andava di suonare, per non farci affacciare. In quel momento ho avvertito qualcosa alle spalle, una presenza lambente, come un passante quando ti incolla i suoi occhi alla nuca. Se non avete mai provato un prurito del genere farete fatica a credermi. E la notte seguente passi da armigero nella stanza sopra la mia mi han lasciato insonne fino all'alba. Se solo esistesse, la stanza sopra la mia. E invece c'è a malapena il tetto. E questo, che ci crediate o no, è decisamente accaduto, ed è sostanzialmente tutto.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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