La notte perversa ha un compagno di forca che si porta dietro ogni volta che può, come un amico sobrio da far guidare quando sei ubriaco: è il signor Spavento, lugubre fantasma dalle dita ossute. Con l'arte che si ritrova, il signor Spavento si infila nella fessura tra il sonno a riva e il primo risveglio, quella che s'apre dieci minuti dopo che mi sono addormentato, e lì s'acquartiera con le sue truppe maledette. Una volta suggerisce il sospetto d'una malattia - sai quel dolorino leggero che non smette? - un'altra il fallimento di tutti i sogni, un'altra ancora la crudeltà degli anni che scappano e l'errore più grande che posso commettere: corrergli accanto, così da stare al passo con loro. Di notte le paure prendono coraggio perché non c'è nessun gesto che le combatta e la vita si mostra per quella che molti temono sia: un'insensata speranza. Eppure. Eppure io so che esistono un tempo che non posso controllare - un tempo esteriore, che ogni giorno m'invecchia - e un tempo immobile, dentro il cuore, o lo stomaco, o dove più vi piace immaginarlo, che è lo stesso da che avevo quattordici anni. Posso riempirlo di qualunque malefatta, o esagerazione, o architettura strafottente: oltre che immobile è capiente più di quanto possiate immaginare. Così ci metto un giorno le idee per un romanzo nuovo e la volontà di riuscire a scriverlo, un altro la casa che non ho ancora trovato e che da qualche parte deve pur esistere, cogli angoli fatti a misura dell'anima mia, un altro ancora il desiderio di una nuova tenerezza, che ho ben chiara in mente ma che mi guardo bene dal raccontarvi. Son tutte smanie primaverili, prove inconfutabili se non dell'esistenza di dio, certamente della mia, perché solo chi esiste sogna così forte. Per tutto questo, se mi vedete coi capelli più bianchi, quando è un po' che non mi incontrate, o con le linee del collo un poco segnate, sappiate che è solo il guscio, quello che state guardando, il corpo che s'adegua al tempo menzognero. Se invece aguzzate la vista, come in quel giochino dei giornali di enigmistica, potrete vedere un adolescente che ha davanti a sé, intatti, tutti gli orizzonti, e tutti li vuole conquistare.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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