Passa ai contenuti principali

La ragazza del treno

Il treno delle vacanze: neanche credevo esistesse più. Due giorni fa mi ci son ritrovato sopra perché non mi andava di guidare, ma di sonnecchiare al dondolio del vagone, facendomi di ricordi. C'erano più villeggianti di quanto pensassi, famiglie intere, una signora in abiti aderenti che sgranava un rosario, un prete giovane che non le ha tolto un istante gli occhi di dosso, un cane che guidava i passi combattivi di un cieco, un uomo misterioso in giacca e cravatta, pantaloni lunghi e scarpe di vernice, a dispetto del caldo importante. E poi c'era lei, che è salita per ultima, sola e smarrita, con in mano una borsa di maglia dentro cui si intuivano un cellulare, un pacchetto di Gauloises, uno di assorbenti, una bottiglia d'acqua e un cambio di biancheria intima. Andavamo tutti al mare, chi per qualche giorno, chi come me per poche ore, tutti apparentemente in credito con la buona sorte, tutti in forma, a parte un paio di adolescenti in sovrappeso. La ragazza con la borsa di maglia si è seduta sul predellino, scostando le gambe per far passare la gente, e si è messa a leggere fitto fitto, nel chiacchiericcio di sottofondo che a me distrarrebbe. Ho riconosciuto il libro, l'ho letto anch'io, anni fa, poi devo averlo regalato, o buttato, perché ricordo che lo lessi in un anno buio, senza speranza. Questi scrittori argentini che scrivono fandonie spacciandole per vita, dio li benedica. L'invenzione di Morel, di Adolfo Bioy Casares, racconta di un condannato all'ergastolo che scappa alla polizia e si rifugia su un'isola dove tutte le persone che vede sono una registrazione, come guardare un film ma tridimensionale, starci dentro, sentirsi attraversare da quei fantasmi fino a credere di star impazzendo. Un modo come un altro per ingannar la morte. Mi sono incantato a guardare il volto della ragazza, che cambiava espressione a ogni pagina, cercando di far coincidere le sue facce buffe al dramma della storia, provando a indovinare quali snodi la meravigliassero di più, e se quel linguaggio tanto impegnativo, sonoro, la mettesse a dura prova e fosse per lei come una prova di enigmistica, per decifrare il più possibile quel libro complicato. Tutti gli altri - compreso il professionista vestito come a novembre, ed eccezion fatta per la donna prosperosa che continuava a recitare a voce bassa ave marie - non alzavano gli occhi dai cellulari. A pochi minuti dal mare perfino il prete guardone, per darsi un contegno, ha preso a scrivere messaggi, distogliendo lo sguardo da quelle forme per lui proibite. Nella mia testa di narratore sempre in cerca di fantasie, sono convinto che stesse mandando una lettera di dimissioni irrevocabili alla curia.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...