Passa ai contenuti principali

Zoe

Il giorno della morte di Silvio Berlusconi mi arriva un messaggio sulla chat di Facebook: Ciao, hai visto che anche lui se n'è andato? e così mentre il cuore salta un paio di battiti mi ritrovo a Montalto di Castro, è il 1983, ho sedici anni. Eravamo partiti in due ma l'amico che venne con me faceva le sei del mattino in discoteca e poi dormiva tutto il giorno, cosicché me ne andavo a spasso per conto mio, in bici, per capire un po' meglio che bestia fosse la libertà. Per inciso confesso che dopo quarant'anni devo ancora scoprirlo: l'ho sentita pronunciare da così tante lingue biforcute, quella parola tronca, che mi si sono confuse le idee. Certi scrittori di cui ho venerazione giurano che esser liberi significa non sapere mai per certo cosa voglia dire: se così è allora sono libero, e tanti saluti. E a parte questo, quell'estate fu maestosa. Di primo pomeriggio guardavo Mister Fantasy - coi videoclip di Madonna e dei Frankie goes to Hollywood, e dev'essere allora che m'è nata la fregola di fare il deejay - e poi m'avventuravo per le strade sabbiose, con le scorze di cocomero sulla proda e l'odore di marcio nei cassonetti. Fu in uno di quei vagabondaggi che conobbi Zoe. Litigava con la catena della sua bicicletta, le si era talmente aggrovigliata che non mi stupirei se fosse ancora lì, legata allo stesso cartello stradale, davanti alle villette fittate a prezzi da Costa Smeralda. Mi offrii di darle una mano ma non c'era verso e in capo a pochi minuti mi arresi. Però restai nei suoi paraggi e lei non se ne ebbe a male. Incrinammo in fretta la diffidenza, da adolescenti è facile. Aveva con sé un walkman, riavvolse la cassetta e mi fece ascoltare una canzone di Ron: Senti che bella che è. In fondo alla spiaggia, al confine tra mare e terra, c'era un cinema all'aperto. Mi invitò lei, e fu un gesto che mi intenerì. La sera, mentre il mio amico vizioso architettava un'altra notte brava, guardammo Io Chiara e lo Scuro. A un certo punto del secondo tempo le presi la mano e la tenni un po' nella mia, e lei la strinse, e quello fu tutto il nostro amore. Il giorno dopo tornò a casa, vacanze finite. Disse solo Ciao, peccato che debba andar via e mi diede un bacio da terza elementare. Da allora non l'ho più vista, non l'ho più sentita. Fino a ieri l'altro, quando mi ha scritto, aggiungendo, come un azzardo: Sono sicura che nella tua vita hai saputo scegliere tra essere Berlusconi e essere Francesco Nuti. Sì, poi ci sono le sfumature, ma se sei Berlusconi è un conto, un tipo di vita. Se sei Francesco Nuti un'altra. A me a quel punto è venuta voglia di invitarla al cinema, come se dalla prima volta fossero passate solo poche stagioni.

Commenti

Post popolari in questo blog

Niente per sempre

C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e  a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...