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Lettera ai miei due padri

Roberto, immagino tu lo sappia che quando uno comincia ad amarti, comincia ad odiare suo padre. Succede spesso, non sarò il primo che te lo dice. Non è una regola, può anche non capitare se uno ha un padre illuminato, ma in tutta onestà quanti ne vedi in giro di padri del genere? Ho cominciato ad odiare mio padre nonostante, per paradosso, il tuo primo disco me lo abbia regalato lui. Perché era un motivo orecchiabile, e pensava che avrei dovuto avere quell'orizzonte lì, per tutta la vita. Invece, da quel giorno e per tutti i giorni a venire ho vissuto una vita diversa rispetto a tutti i giorni precedenti: in contrasto con mio padre, non più in obbedienza. E l'ho fatto arrampicandomi con gran fatica su quello che cantavi, Rob, però capendo che c'erano altri mondi, altre prospettive, altre storie, di cui Pietro non mi aveva mai parlato, e così facendo, sperai che mio padre potessi diventarlo tu. Presero a piacermi i labirinti al posto della strada diritta che avevo sempre camminato - avevo già undici anni, era tempo. Presi a cantare sottovoce le tue canzoni, specie le parti scabrose, pronunciando parole vietate dal codice familiare. Andavo per strada e cantavo forte A te che mi dicevi/ sai chi ho scopato ieri? e all'inizio era solo per il gusto, per sfida. Poi intuii che con le parole potevo fare quel che volevo e che l'unico confine erano le mie capacità. Ho anche cominciato ad amare le storie proprio perché sono fatte di parole, e le parole sono l'anima e la carne degli uomini più di ogni faccenda che vivono. Senza linguaggio le storie sarebbero mute, e dunque a che servirebbe sbattersi tanto? Poi certo, l'indole, l'inclinazione naturale alla curiosità, la tentazione di guardare al di là del consueto, mi han fatto partire e non tornare più. Tanto che sono ancora in viaggio, e tanto che i viaggi che preferisco sono i ritorni, non le scoperte. Lo hai cantato tu, te lo ricordi? Una volta a un'amica che amavo provai a raccontarti, eravamo a Venezia, c'eravamo staccati dagli altri, lo pretese lei. Avevo già cominciato a fare il narratore, dissennato che non sono altro. Disse che sapeva perfettamente che ogni cosa che scrivevo, la scrivevo pensando a qualcuno che la leggesse. Preferibilmente una ragazza per la quale muori - specificò. Anche adesso è così. Poi le dissi di un treno sul quale un uomo ritrovava se stesso ragazzino, e la sua famiglia, e nessuno lo riconosceva. E di una stazione in mezzo al nulla dove sarei sceso anch'io, pur di non tradire il dolore e la bellezza di essere a tempo. E di un altro poeta che s'era accecato per rimaner nel sogno, e nel buio avrebbe potuto cantare gli uomini per quel che avrebbe voluto che fossero. E le parlai di tutti i libri che avevo letto, e di quelli, insignificanti, che avevo scritto, e gliene parlai perché avevo il sospetto che in ogni pagina ci fosse il tuo sussurro, il tuo compiacimento, la tua benedizione. Lei era più scaltra di me, mi stette a sentire fino alla fine e là, in proma alla mia disperazione, offrendomi il seno, disse Vuoi scommettere che quando l'avrai capito a sufficienza, ti farà perfino ricominciare ad amare tuo padre? 

Commenti

  1. Che bella lettera di ringraziamento. Un modo così poetico di raccontare e raccontarti...mi ha veramente toccato.

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    1. Ti ringrazio e mi fa piacere: se uno scrive e non suscita niente è un bel problema.

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