Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probabilmente ti amo, ma solo perché gli uomini devono sempre rovinare ogni incanto con le parole. Tu scanserai i capelli dietro l'orecchio e m'appoggerai la testa sul petto, e io che sono un narratore eccentrico non ti dirò che sa di gelsomino, però ci saprà, e sarà magnifico perché l'amore si fa prima con il naso. Potremmo stare un po' a quel modo, davanti a una di queste sere di maggio piovose e allegre, così le giudica chi ha un debole per i paradossi. Mi piacerebbe intrecciare le mie dita alle tue, e anche questo è un modo per far l'amore, anzi è più appagante perché rimane per sempre in memoria: altri gesti no, scivolano via, diventano tutti uguali, a ricordarli. Mi piacerebbe tenerti per mano per un pezzo di strada, e alla fine fermarci a un ristorante sulla spiaggia: che ficata se potessimo viaggiare fino al mare, quando questa pioggia si stancherà di intristirci. Non è vero che solo i ragazzi sognano, è vero che l'amore non esiste ed è vero pure, grazie al cielo, che esisti tu. Alla fine dei conti son tre circostanze decisamente fortunate.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
🥰
RispondiEliminaGrazie della faccina, chiunque tu sia. Ciao!
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