Settimana scorsa un'ex allieva mi chiama e mi chiede se l'accompagno in un posto. Non specifica dove, mi dice solo che non me ne pentirò e siccome son curioso per natura faccio e vado. Prendiamo la sua macchina, il viaggio è breve: pochi chilometri fuori città; lei ormai ha una trentina d'anni, in classe era famosa per suggerire sottovoce ai compagni durante le interrogazioni, adesso pare un'altra persona, mi racconta di quanto ami suo marito, di quanto siano felici, eccetera eccetera. Lo specifico perché non pensiate male, che lo so che stavate già su quella china. Ci fermiamo davanti a un cimitero di campagna, la ragazza compra una gerbera da un fioraio che espone la sua merce nel cassone di un'ape: Così risparmio sull'Imu, ci rivela ridacchiando. Entriamo e comincio a seguirla tra le tombe. Mi piacciono quelle a campo, ricordano i camposanti inglesi, dove la morte sembra il sonno della domenica e l'erba una coperta leggera. Fatti una cinquantina di passi si ferma davanti a una sepoltura linda, sulla lapide non c'è cresciuta neanche la muffa, anche se il sole qui deve batterci poco. "Ti presento mia sorella, prof". Ai tempi della scuola ho sempre pensato fosse figlia unica, non ne aveva mai parlato, di questa sorella, e quando qualcuno non parla di qualcosa ci convinciamo stupidamente che quel qualcosa non esiste. Invece eccola qua, sotto i nostri piedi. "Sai, era una tipa eccentrica. A te che scrivi tanto e a volte scrivi di libertà, potrebbe far comodo scambiarci due chiacchiere. Vi lascio soli", e così dicendo mi pianta in asso, e sparisce dietro lo spigolo di una cappella di famiglia. Sto lì qualche minuto, senza saper che dire, ma in un certo senso rasserenato. Mi vengon su le poesie macabre di Poe come un rigurgito da neonato, ma ne ricordo solo frammenti, versi rotti. Quando infine torno al parcheggio scopro che la mia amica ha tagliato la corda: mi ha lasciato solo nei pressi di un cimitero, sul far della chiusura, a sei chilometri da casa. La chiamo smadonnando sotto voce, ha il telefono spento. Quando finalmente si degna di rispondere, dopo che un viaggiatore di commercio cui ho fatto pena mi ha caricato sulla sua Peugeot, tutta innocente esclama: "Non sei contento che ti ho suggerito un'altra storia da scrivere cui non crederà nessuno?"
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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