"Il letto di uno che sta per morire deve essere rigovernato con precisione aritmetica. La bardatura dev'essere di un colore che consoli - azzurro per esempio, o grigio chiaro, in modo da ricordare il cielo in primavera; la riversina non può piegarsi su se stessa per più di quindici centimetri o sembrerà sproporzionata rispetto alla parte del lenzuolo che resta distesa, e il cuscino non sia troppo elastico, così da sostenere la testa del malcapitato evitando che sprofondi. I muscoli del collo di un moribondo, infatti, sono laschi, e il corpo assumerebbe una postura goffa, scomposta, che renderebbe parodica la morte. La morte non deve mai sembrare qualcosa di differente da quello che è: un'ingiuria cui bisogna andare incontro compostamente". Tutte queste eccentricità e altre ancora mi raccontava stamattina Santoro, amico d'infanzia perduto per un tempo che credevo definitivo e poi ritrovato in un incastro di coincidenze stupefacenti, che tuttavia vi racconterò un'altra volta. Quel che stava cercando di dirmi, con quel ragionamento scentrato, era un bisogno di esattezza. Suo padre sta morendo e Santoro vorrebbe che fosse tutto perfetto, che nessuno dei tanti parenti che tra poco cominceranno a fargli visita possa sospettare che lui sia men che straziato. Quella giustezza, quel rigore, son ciò di cui ha bisogno per mostrare agli altri la propria disperazione. "A che serve esser disperati se non riesci a farlo capire con esattezza alla gente?" - mi ha chiesto, e io non ho saputo che diavolo rispondergli. Ho ripensato poi, andando via, alla mia, di disperazione, quando l'ho conosciuta. Forse non era abbastanza maligna, dato che non le ho mai costruito attorno, a forma di palco, nessuna perfezione. Sarà per quello che da un mese mi sono iscritto, senza sospettarne allora l'istinto perverso, a un corso di recitazione: per non farmi trovare impreparato la prossima volta.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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