Stanotte, camminando per New York, mi è parso di vedere Tony Manero che ballava sopra il ponte di Verrazzano, incurante degli anni e dei chili presi, leggero come la libellula che ricordo e ugualmente innocente. C'era la luna, e c'era quel manto chiaro che spande quando il mondo è in pace e quando viaggiare - come ho fatto io stanotte - non presuppone spostarsi da casa, fare i bagagli, prenotare il volo, mangiare insetti, ma soltanto accompagnare Stephanie a casa dopo le prove. Dont' walk, diceva il semaforo sulla settantasettesima, e allora mi son fermato e ho guardato attorno: la città era il palcoscenico del paradiso, coi suoi palchi, la platea stupefatta, il golfo mistico dove i musicanti di strada suonano Charlie Parker per mezzo dollaro l'ora. Un tramonto di un giorno qualsiasi del 1977 nella grande mela sarebbe in effetti uno dei miei cinque o sei paradisi su misura, purché dilatato oltre ogni tempo ragionevolmente umano, così da farcirlo di tutto quello che ho visto nei film - cheeseburger, skateboard, risse coi portoricani, spaccio d'anfetamine ad Harlem - improvvisandomi anch'io attore. Io credo che dio dovrebbe prevedere un aldilà differente per ognuno di noi, dacché non vorrei finire, per tutto l'oro del mondo, nello stesso universo dove si sentirebbe a suo agio, porgendo scuse per l'incredulità di tutta la vita, uno come Piergiorgio Odifreddi. Di questo parlano gli artisti: di possibilità infinite, che sono a loro volta un prontuario di preghiera più centrato delle lettere ai Colossesi e delle Avemaria cantate. Ho capito perché i creativi governano il mondo: perché ne svelano la bellezza, flirtano con le epoche, disarcionano l'abitudine e ci portano in posti eccentrici, che sono mari irraggiungibili dagli altri, da quelli che non sognano mai, neppure una volta, nemmeno per caso, John Travolta che balla sulle canzoni dei Bee Gees. L'élite di Davos, la chiamano oggi, ma altrove, in altri secoli, aveva altri nomignoli, altre allegorie. Due poeti, uno antico e uno moderno, li chiamarono Nuvole: credono di aver potere di vita e di morte, ma basta un po' di vento e vanno via per sempre, dimenticate dalla storia.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post