Il caso vuole che ogni anno due giorni prima di Natale mi venga la tentazione di mollare tutti gli amori possibili e scapparmene al mare. Un viaggio a velocità di crociera mentre un nugolo di potenziali assassini mi sorpassa di gran carriera, col cielo che si rabbuia tanto quanto io mi schiaro, come gli consegnassi per qualche ora tutti i pensieri torbidi e lui - benedetto - se ne facesse carico. Arriverei che è notte, in modo tale da intuirla soltanto, tutta la bellezza, dormirci su in un albergo aperto per miracolo e la mattina dopo, sceso in spiaggia leggero e senza spaventi, finalmente liberarla agli occhi, e inspirarla dal naso. Ma il caso vuole pure che non riesca mai a smarcarmi completamente dagli amori possibili: se ne congedo uno fino al ventisette ecco che un altro reclama attenzione, un altro ancora vuol esser compatito e un quarto vorrebbe venirsene via assieme a me, in barba ai parenti e al cenone. "Ti faccio da navigatore, ti metto i cd" mi propone, ma le lusinghe non funzionano: quella diserzione, se mai avrò il coraggio di commetterla, pretende la solitudine libertina di pensieri che vanno dove vogliono, a volte dove non dovrebbero, e nessuno accanto che possa intuirli. Così ogni volta rinnego la voglia, ed è come per uno appena uscito da una dieta correre goloso in pasticceria e trovarla chiusa. Restare a casa non ha però solamente controindicazioni: un desiderio non esaudito è buono per un'altra occasione, e dal momento che io non ne ho così tanti - ne avevo, sì, ma grazie alla perseveranza gran parte li ho soddisfatti - non vorrei restarne privo. Ciò non toglie - e ve lo dico con tutto l'amore interessato che un narratore nutre per i suoi lettori, tanto da annoverare anche loro tra gli amori possibili - che prima di diventar decrepito quella casetta davanti alla spiaggia di Tarquinia, dovessi far debito, me la voglio comprare. E può anche darsi che per allora mi sia ricreduto, su quella faccenda della solitudine. Ragion per cui, tra vent'anni, se qualcuno volesse venirci con me, mi faccia sapere.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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