Il caso vuole che ogni anno due giorni prima di Natale mi venga la tentazione di mollare tutti gli amori possibili e scapparmene al mare. Un viaggio a velocità di crociera mentre un nugolo di potenziali assassini mi sorpassa di gran carriera, col cielo che si rabbuia tanto quanto io mi schiaro, come gli consegnassi per qualche ora tutti i pensieri torbidi e lui - benedetto - se ne facesse carico. Arriverei che è notte, in modo tale da intuirla soltanto, tutta la bellezza, dormirci su in un albergo aperto per miracolo e la mattina dopo, sceso in spiaggia leggero e senza spaventi, finalmente liberarla agli occhi, e inspirarla dal naso. Ma il caso vuole pure che non riesca mai a smarcarmi completamente dagli amori possibili: se ne congedo uno fino al ventisette ecco che un altro reclama attenzione, un altro ancora vuol esser compatito e un quarto vorrebbe venirsene via assieme a me, in barba ai parenti e al cenone. "Ti faccio da navigatore, ti metto i cd" mi propone, ma le lusinghe non funzionano: quella diserzione, se mai avrò il coraggio di commetterla, pretende la solitudine libertina di pensieri che vanno dove vogliono, a volte dove non dovrebbero, e nessuno accanto che possa intuirli. Così ogni volta rinnego la voglia, ed è come per uno appena uscito da una dieta correre goloso in pasticceria e trovarla chiusa. Restare a casa non ha però solamente controindicazioni: un desiderio non esaudito è buono per un'altra occasione, e dal momento che io non ne ho così tanti - ne avevo, sì, ma grazie alla perseveranza gran parte li ho soddisfatti - non vorrei restarne privo. Ciò non toglie - e ve lo dico con tutto l'amore interessato che un narratore nutre per i suoi lettori, tanto da annoverare anche loro tra gli amori possibili - che prima di diventar decrepito quella casetta davanti alla spiaggia di Tarquinia, dovessi far debito, me la voglio comprare. E può anche darsi che per allora mi sia ricreduto, su quella faccenda della solitudine. Ragion per cui, tra vent'anni, se qualcuno volesse venirci con me, mi faccia sapere.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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