Poco fa, mentre saliva il caffè, dopo il consueto mattino ingombro di cose e il sonno torpido del pomeriggio e intanto che la sera ingrigiva i colori del parco, è arrivata la mia amica balorda, e allora ho pescato un cracker da un pacchetto nuovo, per disorientarla con un gesto senz'arte. Lei si nutre delle parole che scrivo, ci si siede proprio in mezzo, le innerva del suo fatalismo da quattro soldi e per quel veleno vorrebbe ch'io maledicessi la vita. Così ingannandola e sul punto di inventare nuovi innocenti su cui infierire, ho spezzato quello snack in due lungo la linea tratteggiata. Le briciole son volate sul davanzale, e da lì per un colpo di vento, fino al piano di sotto, sul bucato steso in terrazzo da Caterina, che se vuole farà come Pollicino con le molliche: le seguirà a ritroso e busserà alla mia porta. Nel frattempo quel frantumare m'ha smosso i pensieri, che da qualche giorno erano un lago calmo, melmoso. Ho ricordato che anch'io sono stato cracker, e che m'hanno spezzato a metà. Una volta ero intero, e quand'ero intero la vita era una sola; poi son diventate due, così lontane e perse da non parlarsi, come due persone differenti che non si sono mai incontrate. Ero un ragazzo abitudinario, laggiù, dentro certi anni dormienti; ora sono un uomo irrequieto, dentro questi altri di veglia. Non scrivevo ancora, non con questa ostinazione, leggevo di malavoglia e avevo tentazioni d'empietà, tanto la famiglia mi stava stretta. Le speranze erano tutte uguali e a stento riconoscevo il cambio delle stagioni: di quel tempo non ho memoria se non del suo insieme. Del suo avvenire - che in percentuale spero piccina è già passato - conservo al contrario nitidi fermo immagine, episodi fantastici, e di ognuno saprei dire l'anno il posto e l'ora. Faccio fatica a credere che sia solo perché sto invecchiando: forse è perché, al contrario, ringiovanendo, mi si addice più la vita di adesso, efferata, che quella d'abitudine. E così sia.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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