Poco fa, mentre saliva il caffè, dopo il consueto mattino ingombro di cose e il sonno torpido del pomeriggio e intanto che la sera ingrigiva i colori del parco, è arrivata la mia amica balorda, e allora ho pescato un cracker da un pacchetto nuovo, per disorientarla con un gesto senz'arte. Lei si nutre delle parole che scrivo, ci si siede proprio in mezzo, le innerva del suo fatalismo da quattro soldi e per quel veleno vorrebbe ch'io maledicessi la vita. Così ingannandola e sul punto di inventare nuovi innocenti su cui infierire, ho spezzato quello snack in due lungo la linea tratteggiata. Le briciole son volate sul davanzale, e da lì per un colpo di vento, fino al piano di sotto, sul bucato steso in terrazzo da Caterina, che se vuole farà come Pollicino con le molliche: le seguirà a ritroso e busserà alla mia porta. Nel frattempo quel frantumare m'ha smosso i pensieri, che da qualche giorno erano un lago calmo, melmoso. Ho ricordato che anch'io sono stato cracker, e che m'hanno spezzato a metà. Una volta ero intero, e quand'ero intero la vita era una sola; poi son diventate due, così lontane e perse da non parlarsi, come due persone differenti che non si sono mai incontrate. Ero un ragazzo abitudinario, laggiù, dentro certi anni dormienti; ora sono un uomo irrequieto, dentro questi altri di veglia. Non scrivevo ancora, non con questa ostinazione, leggevo di malavoglia e avevo tentazioni d'empietà, tanto la famiglia mi stava stretta. Le speranze erano tutte uguali e a stento riconoscevo il cambio delle stagioni: di quel tempo non ho memoria se non del suo insieme. Del suo avvenire - che in percentuale spero piccina è già passato - conservo al contrario nitidi fermo immagine, episodi fantastici, e di ognuno saprei dire l'anno il posto e l'ora. Faccio fatica a credere che sia solo perché sto invecchiando: forse è perché, al contrario, ringiovanendo, mi si addice più la vita di adesso, efferata, che quella d'abitudine. E così sia.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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