Suonano il campanello, bussano alla mia porta, bussano con le nocche e coi piedi, picchiano con le mani aperte, lasciano passare un minuto e poi ricominciano. Non lo so se gli stessi o altri ancora, se sono gli stessi mi vogliono far credere d'esser andati via e poi ci riprovano contando di prendermi sottovento. Io sono sempre all'erta, quando succede, perché mica è la prima volta che mi fanno questo scherzo: fingono di andarsene e tornano alla carica. Poco fa, per esempio. Poteva essere chiunque: una masnada di indemoniati, un predicatore, un assassino, un untore, un venditore di denaro. Potevano essere questuanti, allibratori, venditori di bibbie, largitori di crack, donne di malaffare, faccendieri dal cuore irsuto. Io non apro, non apro mai: la mia porta è sbarrata. Un tempo era una semplice porta di legno, ma bella possente, dura, rinforzata da catenacci e fibbie di ferro; poi l'ho fatta smontare e al suo posto ora c'è un portone blindato, con i chiavistelli al tungsteno, un sistema sofisticato d'allarme a infrarossi e uno spioncino nascosto da cui guardare l'invasore senza che lui se ne accorga. Io in realtà non ci guardo mai, dallo spioncino: sono sicuro che dall'altra parte potrebbero trovarlo anche se il costruttore l'ha mimetizzato tra le scanalature, e infilarci un ferro da calza, e così trafiggermi un occhio e arrivarmi al cervello. Sono capaci di tutto, quelli che vogliono entrarti in casa. Io non apro, non guardo, non mi muovo, non respiro, quando suonano alla porta. E poi il mondo là fuori non mi piace, non mi interessa, non c'è nulla di cui ho bisogno e perciò non c'è nulla che mi attrae, di quel che potrebbero portarmi qua dentro. Tutto quel che mi serve ce l'ho già e sono bastevole a me stesso: è una gran fortuna. Solo per curiosità, oggi al centesimo scampanellio, mi son deciso a guardare non visto chi fosse: è la prima volta che succede, che guardo il pianerottolo. C'era una donna, una donna bellissima, di certo menzognera come una volpe. Quando ha capito che non rispondevo ha suonato al mio dirimpettaio, e quello, incauto, ben rasato e ben vestito, ha spalancato la porta e l'ha fatta entrare. Ho sentito poi che parlavano di qualcosa che non ho afferrato, ad alta voce, allegri, ridevano, e quando lei è uscita, in capo a pochi minuti, lui era ancora vivo, sembrava anzi felice. "Allora a domani", gli ha detto lei mentre scendeva le scale, e io mi son sentito sollevato d'averla scampata.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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