Dove va tutta la nostalgia? C'è un container, un deposito su una collina, un'arca dopo che gli animali sono scesi, una cassetta di sicurezza nelle banche dei Rothschild? E tutta la tenerezza? Quella di quando è nata mia figlia, quella del primo amore, quella delle case vuote che un tempo furono allegre. E dove va tutto lo stupore, ogni grano dell'amore pregato come un rosario, ogni disastro presagito - e tutte le cose lasciate in sospeso, dove vanno? Io non vorrei che si dissolvessero come me, quando verrà il giorno. Io vorrei sopravvivessero ai miei giorni, fossero tratti in salvo, tutti quei compagni di viaggio innocenti che ho evocato senza farlo apposta. Guardo questa abitudine straziante che è la vita e mi sento in debito per esser stato felice - seppur a lampi. E in colpa, per tutta la figliolanza che resterà orfana, dio non voglia. Per cui ecco, pensavo: c'è qualcuno che vuole adottare i miei sentimenti? Non subito, beninteso, anzi: fatemi toccare ferro. Tra cinquant'anni, dico, tra un mare di tempo. C'è qualcuno tra voi che si prenderebbe in carico questi fogli, queste carezze date al dolore, questi libri scritti con fierezza, le parole al vento, la saggezza fortuita, l'inattendibilità dei giudizi, tutti i viaggi al termine della notte? Sono scudieri vanitosi, un poco. Son talmente pieni di bellezza che ne fanno vanto, ma in silenzio. Per il resto, vi giuro che sono affettuosi; e quanto alla fedeltà, potete scommetterci qualunque somma. Sono miei e saranno vostri, di chi li vorrà, e vi tratteranno come trattano me: con nervosa devozione. Quando ho cominciato ad accorgermi che la vita ha questa controindicazione - è commovente - loro han cominciato ad apparire, e adesso siamo una famiglia numerosa. Iniziò un giorno che una donna, dentro un romanzo, mi disse Canta, e se non c'è nessuno che ti ascolta sali sul tetto e suona il violino: per i pianeti che passano di notte. E così ho fatto, incosciente che sono stato.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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