Mi sono fermato a quindici anni, non sono più cresciuto, è il 1982 da una vita. Mia madre torna ogni sera dalla tabaccheria alle sette meno un quarto, dice sempre che ha freddo, è sempre mercoledì, tutte le volte mi trova davanti alla tv a guardare Casa Keaton e mi chiede se ho studiato greco. No, le dico di no, che me ne sono dimenticato, che appena finisce l'episodio lo faccio, e lei si inalbera. Tutte le sere lo stesso mercoledì del 1982, da quarant'anni: la medesima scena. Lei non lo sa, io sì, lei rifà da sedicimila giorni quella recita scordandola un attimo dopo, quando per il nervoso brucia la frittata di patate e mozzarella e mi costringe a spalancare tutte le finestre anche se è novembre. Ho comprato l'adolescenza, adesso è mia, devo pagarne il prezzo per il resto della vita: rivivere lo stesso giorno del 1982 per sempre. Conosco tutti i film che sono usciti da lì in avanti, conosco le canzoni, mi ricordo i libri, ma non posso parlarne con nessuno: vivo soltanto quella sera, quella porzioncina d'esistenza: la stessa puntata di Casa Keaton, mia madre che s'infuria, la frittata che s'attacca alla padella, le finestre aperte e poi la cena malmostosa, e mio padre taciturno, torvo. Ho comprato l'adolescenza perché ho vissuto quel che è venuto poi, ed è stato terribile; così ho preferito fermarmi. Me l'hanno concesso, ma per una sola sera, allo sfinimento, sempre quella. Ho provato a cambiare le carte in tavola, ad aprire la grammatica greca mentre va la pubblicità, ma non funziona: se modifico quel che è successo scompare tutto, la scena sbiadisce e un attimo dopo ricomincia da capo. Non ho potuto neanche sceglierlo, cosa rivivere. Poteva andarmi meglio, poteva capitare una di quelle volte che mio padre era in buona, ciarliero, o che avevo preso sette alla versione e tutti erano rilassati, e perfino mia nonna non faceva tanto rumore con la dentiera. O poteva andarmi peggio, potevo ritrovarmi a vomitare l'anima per via dell'acetone, come capitò nel '79, e allora sarebbe stata una specie d'inferno reiterato. In questo modo il dolore futuro è soltanto in memoria; è buffo ricordarsi perfettamente di una cosa che deve ancora accadere, chi volete che mi prenda sul serio? Al massimo posso spacciarla per fantasia, e scriverla, come in effetti sto facendo ora. Così diventa lo scempio di un altro, uno che ho solo interpretato, attore da sit-com pure lui, coi fondali di scena e le risate finte. E io sono salvo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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