Mangiare, bere, far l'amore, ridere e raccontarsi. Sono questi, io credo, i cinque gesti più necessari alla felicità, e se soltanto uno di loro viene a mancare vivere diventa assai complicato. Per i primi due è facile capire perché; i secondi due, che taluni credono accessori, hanno spesso un'urgenza improvvisa, che ci spinge a creare i presupposti per poterli compiere. Quanto all'azione numero cinque: cavolo, è la più sottovalutata. Il guaio è che, a differenza delle altre, me ne sono reso conto da adulto, di quanto sia fondamentale. Da quel momento ho cercato di recuperare il tempo perduto, e ho preso a scrivere forsennatamente, per via che avevo un sacco di cose arretrate da raccontare. "Allora anche tu sei un griot", mi ha detto un ragazzo del Senegal quando gli ho manifestato questo vizio. Eravamo in spiaggia, non più tardi di dieci giorni or sono: lui girava tra gli ombrelloni vendendo i libri di una casa editrice di Pontedera specializzata in narrativa africana. Ha visto che ero ben disposto nei suoi confronti - non deve capitargli così spesso - e allora si è seduto sulla sabbia e abbiamo preso a chiacchierare. "Il griot è un cantastorie, - mi ha spiegato - è una parola francese del 1600 ma il personaggio è molto più antico: la mia gente dice che è nato assieme all'Africa". Mi ha intuito curioso e ha proseguito: "Lui è il custode delle storie di un popolo, della sua tradizione, ma è anche la dimostrazione di un bisogno primario dell'essere umano che voi occidentali avete un po' dimenticato". Ho capito che si riferiva proprio all'istinto del racconto, all'atto necessario della condivisione di un'esperienza che poi, nel tempo e nel rimbalzo di voci che la tramandano, la farciscono di invenzione, diventa poema. "Anche io sono un griot, - mi ha confessato alla fine. - Mi chiamo Bay Mademba e ho scritto questo libro: vuoi comprarlo?" e mi ha messo in mano un fascicolino intitolato Il mio viaggio della speranza. Non solo l'ho comprato ma l'ho divorato in un pomeriggio, al bar dell'albergo, e mi sono appuntato alcune considerazioni che vorrei condividere con voi. Ma non ora e non qui: lo spazio è finito. Lo farò in un prossimo video, sul mio canale Youtube, che trovate a questo indirizzo https://www.youtube.com/channel/UCs-j7HZnwd2jAMRhLlUIJbQ e al quale nel frattempo - gratis et amore dei - vi invito a iscrivervi.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post