Una mattina di qualche giorno fa - verso l'una - sono per strada: la Flaminia, rosolata di sole tra i campi secchi, è allenamento per l'inferno. All'altezza di ponte san Lorenzo c'è un incolonnamento, rallento fin quasi a fermarmi, metto le quattro frecce, mi armo di pazienza. Arriva da dietro, allegra e svampita, una Spark bianca come il latte, si accorge all'ultimo dell'intoppo, inchioda, brucia un treno di gomme, mi tampona ma appena appena, come se i paraurti - per un improvvido colpo di fulmine - avessero deciso di baciarsi là, pudicamente, davanti a tutti. Accostiamo, il tipo frettoloso - costernato - si scusa in tutte le lingue, il danno è lieve, decido di lasciar perdere. "A patto che lei mi racconti dove cavolo andava così di gran carriera", gli propongo. Ci sediamo sotto un albero grosso, mentre il traffico ricomincia a scorrere: ora quel tipo non sembra più tanto in ritardo, qualunque sia la sua destinazione. Tira fuori una bottiglina d'acqua, beve un lungo sorso, poi snocciola una storia strana. Prima però mi chiede: "Perché lo vuol sapere? In genere sono tutti indifferenti". "Non io - gli rispondo: - provo a fare lo scrittore e dunque sono un tipo curioso". Mi guarda come se avesse incontrato una bestia rara, fa una faccia che mi spiace di non aver fotografato: buffa com'era l'avrei usata per la prossima copertina. "Ehi, anch'io ho scritto dei libri - mi rivela. - Due romanzi per un'editrice di Siracusa e un altro per una di Milano. Allora forse ho incontrato una specie di gemello sconosciuto. Sa come si dice? Separati alla nascita". Decido di assecondarlo: se è un matto non dev'essere pericoloso. Mi spiega che stava andando in collina, tra Narni e Otricoli c'è un villaggio arroccato e nel villaggio c'è una casa dove lui e sua moglie hanno vissuto i primi anni di matrimonio. "Mia moglie è morta nel 2012 - riesce a dire, - ma oggi mi è venuta una tentazione: andare a vedere se per caso sta ancora ad aspettarmi sul vialetto d'erba davanti al cancello, come vent'anni fa. Lei insegnava a due passi da casa, tornava prima e mi veniva incontro. Poi apparecchiavamo insieme, e mangiavamo con calma, e credo che quella fosse una buona rappresentazione della felicità". Gli faccio notare che è un pensiero da scrittore, folle cioè, e quindi perfettamente logico, e lui: "Esatto, lo è. Mia moglie non può star lì sul vialetto ad aspettarmi per il solo fatto che è morta? Che ne sappiamo noi della morte? Che ne sappiamo, di questo mistero portentoso che è la vita?"
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post