Ogni tanto capita che mi svegli all'improvviso e accanto a me c'è qualcuno. Non è un incubo, non ha quella temerarietà; al contrario è una presenza timida, che intuisco seduta sulla sponda del letto, o in piedi in fondo alla camera. Una volta è un uomo in postura strana, di tre quarti, un'altra una ragazza smunta, un'altra ancora soltanto un volto supplichevole, una fiammella senza corpo. La percezione dura un attimo, un decimo di secondo, ma è netta: non è l'ombra di un nottambulo che passa fuori, né il rimasuglio di un sogno, ma qualcosa di differente, di misterioso. C'è qualcuno che ogni tanto entra in camera mia e mi guarda dormire. Ho cercato di indagare la cosa: prendendola a ridere, provando a convincermi che sono scherzi della fantasia, chiedendo un parere a chi - psicologi, sacerdoti - ne sa più di me sul confine fortificato tra visibile e invisibile, ma non ho mai avuto spiegazioni soddisfacenti. Ho avuto invece la prova discretamente definitiva dell'esistenza di zone inesplorate, che rendono più emozionante la vita. Non tutto quel che succede è spiegabile razionalmente e non tutte le spiegazioni razionali hanno la stessa forza: alcune di loro traballano, come i tavolini alle sedute spiritiche. Chissà cosa c'è talora alle nostre spalle, sopra le nostre teste, dietro gli angoli bui. Mi piacerebbe saperlo ma poi il divertimento finirebbe. E invece continua: con le lampadine che si accendono da sole, le coincidenze stupefacenti, le voci che ti chiamano dai cortili, ti affacci e sotto non c'è nessuno, i tonfi dei passi nelle soffitte vuote. Sono meraviglie, sono suggestioni, sono scherzi del nostro cervello quando è sotto pressione: va' a capirlo. Quel che so è che non ne ho paura, non mi squadernano: le piccole manifestazioni contrarie alla realtà, disturbatrici della ragione, potrebbero anche essere un'alternativa allegra, un piano d'indagine supplementare, una musica dissonante. In definitiva: una speranza.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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