Una mattina a scuola, quattro o cinque anni fa, una ragazza sveglia mi chiese di chiarire la differenza tra destra e sinistra. Prima che io provassi a rispondere ci tenne a precisare una cosa: "Non in riferimento a oggi, o alla storia del Novecento. Al contrario: antropologicamente". La cosa si presentava impegnativa e così presi tempo. Dietro mia richiesta, mi concesse ventiquattr'ore per elaborare un ragionamento decente e se ne andò a casa, con la faccia furba di chi ha gettato un guanto di sfida. Nel pomeriggio provai a chiarirmi le idee, mettendo a confronto quel che avevo studiato con la politica come mestiere - teoria e pratica, in sostanza - ma mi vennero solo considerazioni scontate e un tantino qualunquiste. Finché non mi parve una possibile soluzione procedere dal concetto più interessante che la ragazza aveva espresso. Quelle tre parole - Al contrario: antropologicamente - mi stavano fornendo la chiave di accesso. Le interpretai come una provocazione. Io credo che la fanciulla volesse dire che la politica è un artefatto, e come tale scostato, alieno, rispetto alla natura umana. Da me voleva una presa di posizione, quasi un atto di razzismo: che classificassi gli esseri umani, li dividessi in categorie. Così, per associazione di idee, mi s'aggrappò ai ricordi un amico che non vedevo da anni: era alto, allampanato, più grande di me, barbuto, solitario e fiero. Fumava sigari toscani e camminava per la strada leggendo Il Manifesto. Ho sempre pensato a lui come a una persona degna di stima, dalle idee un poco estreme, più intransigenti delle mie; ciononostante - o forse proprio grazie a questa indole - era un uomo dalla schiena dritta: non ne ho conosciuti tanti di cui poter dire la stessa cosa. Lui, in quel momento, mi sembrò antropologicamente adatto a rappresentare la sinistra, a esser porto come esempio alla mia curiosa ragazza. Perché era più preoccupato dei bisogni degli altri che dei suoi. Perché pensava che avesse diritto di esser felice solo se lo erano tutti. "Un pensiero di sinistra - cercai di spiegare alla mia allieva il giorno dopo - è, antropologicamente parlando, il sintomo di un'evoluzione". "E un pensiero di destra?", mi domandò senza pietà. "Credo sia un pensiero individualista, egocentrico, al massimo corporativo. Quindi primitivo, che ignora il concetto di solidarietà, votato quasi esclusivamente al benessere del singolo." "Se ne deduce che esser di sinistra è felicemente contronatura mentre esser di destra è qualcosa del tipo Chi se ne frega degli altri", insistette lei. "In un certo senso, e semplificando, potremmo concludere così", le risposi ammirato.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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