Vorrei scrivere d'amore ogni giorno; vorrei scrivere una storia d'amore, metterci un anno e meravigliare tutti, ma non sono capace: ogni volta che comincio a scrivere d'amore poi il discorso prende una strada tutta sua, un viottolo lacustre, un sentiero di brughiera. Probabilmente non so nulla dell'amore di cui son fatti certi romanzi, che pure vanno per la maggiore. So qualcosa, al contrario, dell'amore intermittente, che quando è spento sembra non sia mai neanche cominciato ma quando è acceso vale per tutti i libri nel quale è nominato invano, e ce n'è d'avanzo. Questo è, l'amore mio: terrestre, incespicante, un giorno on e uno off ma devoto, e guai a chi me lo tocca. E dato che siamo entrati nel discorso, mi preme specificare che la forma più evoluta d'amore l'ho conosciuta una volta sola, per il tramite di una coppia che incontrammo al mare, eccentrica e assai poco borghese. Avevano - moglie e marito - una decina d'anni più di noi, stringemmo quella fragile amicizia che si stringe in spiaggia, oggi non mi ricordo nemmeno come si chiamavano. Sta di fatto che una sera cenammo insieme e poi passeggiando per le bancarelle del litorale formammo due coppie: uomo con uomo e donna con donna. Lontano a sufficienza dalle orecchie della moglie, lui mi raccontò che erano sposati da trent'anni e che più di una volta si erano traditi. Reciprocamente, e mai con completo pentimento. Poi una volta, un paio di anni prima, avevano organizzato una vacanza per fare il punto della situazione. Si erano ritrovati su un pontile sgombro di pescatori, s'erano abbracciati, erano rimasti a guardare le onde che scurivano fino a che non ne avvertirono l'inconsistenza, di tutti quei sotterfugi. "E ci perdonammo" - così mi disse. "Ci perdonammo anche se non c'era niente da perdonare, perché l'amore è uno e le tentazioni molte, e questo lo sapevamo tutti e due". Finì che su quei due sciroccati anni dopo ci scrissi davvero un libro, inventando la scorza e lasciando intatta la polpa. Ma come temevo, e per mia fortuna e disdetta, non somigliava a nessuno dei romanzi in cima alle classifiche.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
Commenti
Posta un commento
Grazie per aver commentato il mio post