A pochi minuti da casa mia, in una terra di mezzo che si chiama Tre Ponti, c'è un emporio gigante dove vendono di tutto, dai fermagli colorati alle astronavi. Ci faccio un salto quando mi piglia un istinto di superfluità, e anche se non mi serve niente esco sempre con una shopper satolla, e qualche quattrino in meno. Ieri per esempio, all'una e venti, mentre la gente normale scolava gli spaghetti, io me la spassavo leggero e incosciente tra le corsie debordanti, e ovunque era un Ooh di meraviglia, una pesca infantile. Ho trovato dei ganci per gli strofinacci a forma di muso di gatto che fanno l'allegria, una targhetta ovale color pastello, da appendere fuori della porta, su cui c'è scritto Casa d'artisti, e un secchio verde per l'immondizia col coperchio a bocca di rana. Pensate che li abbia lasciati dov'erano? Il bello di posti come questo è che mi sfiniscono e sfinendomi rimandano la tristezza a domani. Faccio su e giù per i reparti cento volte, m'innamoro di centrifughe e spremiagrumi per la foggia che hanno, mica perché mi servono, e ogni volta devo combattere la tentazione di comprare il mondo. Forse in un'altra vita ero una massaia con un debole per la bellezza domestica, e ora sono un uomo a cui è rimasto solo il sospetto, di quel talento. Ho anche la speranza che in negozi così prodighi si raffreddino le anime bellicose: incapricciarsi di una caffettiera blu, di una vetrofania, aiuta a capire la grazia minuta della realtà, il suo equilibrio precario. Ci porterei, come in gita scolastica, non solo tutti i ministri della terra ma pure quelli tra noi che armano le parole, spaventano gli altri, tramano, sobillano; e i pazzi che alzano le mani, fanno l'inferno nelle vite dei figli, delle compagne. Son convinto che tra quei traboccanti scaffali, persi per le corsie luminose, saprebbero finalmente accorgersi di quanto sia necessario, ogni giorno che dio manda in terra, conservare intatta la minuscola, frastagliata, meraviglia del mondo.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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