A pochi minuti da casa mia, in una terra di mezzo che si chiama Tre Ponti, c'è un emporio gigante dove vendono di tutto, dai fermagli colorati alle astronavi. Ci faccio un salto quando mi piglia un istinto di superfluità, e anche se non mi serve niente esco sempre con una shopper satolla, e qualche quattrino in meno. Ieri per esempio, all'una e venti, mentre la gente normale scolava gli spaghetti, io me la spassavo leggero e incosciente tra le corsie debordanti, e ovunque era un Ooh di meraviglia, una pesca infantile. Ho trovato dei ganci per gli strofinacci a forma di muso di gatto che fanno l'allegria, una targhetta ovale color pastello, da appendere fuori della porta, su cui c'è scritto Casa d'artisti, e un secchio verde per l'immondizia col coperchio a bocca di rana. Pensate che li abbia lasciati dov'erano? Il bello di posti come questo è che mi sfiniscono e sfinendomi rimandano la tristezza a domani. Faccio su e giù per i reparti cento volte, m'innamoro di centrifughe e spremiagrumi per la foggia che hanno, mica perché mi servono, e ogni volta devo combattere la tentazione di comprare il mondo. Forse in un'altra vita ero una massaia con un debole per la bellezza domestica, e ora sono un uomo a cui è rimasto solo il sospetto, di quel talento. Ho anche la speranza che in negozi così prodighi si raffreddino le anime bellicose: incapricciarsi di una caffettiera blu, di una vetrofania, aiuta a capire la grazia minuta della realtà, il suo equilibrio precario. Ci porterei, come in gita scolastica, non solo tutti i ministri della terra ma pure quelli tra noi che armano le parole, spaventano gli altri, tramano, sobillano; e i pazzi che alzano le mani, fanno l'inferno nelle vite dei figli, delle compagne. Son convinto che tra quei traboccanti scaffali, persi per le corsie luminose, saprebbero finalmente accorgersi di quanto sia necessario, ogni giorno che dio manda in terra, conservare intatta la minuscola, frastagliata, meraviglia del mondo.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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