Alla fine dell'estate di un paio di anni fa un'amica con cui uscivo secoli addietro mi chiama e mi chiede: Ti va una rimpatriata? Porto il vino, e così ceniamo in terrazzo, davanti a un roseto spuntato nottetempo tra lo spartitraffico e il parco delle Rimembranze. Non darti delle arie - mi rivela: - non ti ho pensato quasi mai in questi anni. Mi sei tornato in mente per caso. Mi racconta che un paio di settimane prima guidava verso Santa Severa - ha una casa sul mare - e a un certo punto dalla macchina che la precedeva ha cominciato a staccarsi il paraurti. Penzolava pericolosamente sopra l'asfalto e lei aveva lampeggiato fino a che il conducente si era fermato e si era reso conto del guaio. Ci successe una cosa del genere durante una vacanza all'isola d'Elba: dall'auto che avevamo davanti si staccò un pezzo di paraurti e rischiammo di farci male. Quella coincidenza le aveva fatto ricordare che esistevo, e così - non trovando ragioni contrarie che la dissuadessero - mi aveva cercato. Finita la cena lasciamo i piatti nell'acquaio e facciamo un giro a piedi per il centro storico. I giorni son già più corti, sulla torre dei priori si allungano - predatrici - lunghe zampe nere e la loggia del banditore ha perso i colori. Ma tu non pensi che dovremmo andarcene solo dopo aver fatto un'esperienza più approfondita del mondo? - mi chiede all'improvviso, seria seria. Dico, almeno delle cose di cui abbiamo curiosità. Io per esempio - ammette - vorrei tanto saperne di più sulla psicanalisi e sulla letteratura giapponese. E vorrei saper cucinare meglio. Già quando ci frequentavamo le piaceva parlare della morte senza nominarla direttamente, la metteva in parecchi discorsi, epperò non la trovavo pesante, o tetra, aveva un modo tutto suo, allegro, di tirarla in ballo: quella sera succede lo stesso. Le rispondo che sì, è un gran peccato aver solo un'infarinatura del mondo, e che gli anni s'avvicendano troppo in fretta, e ad ogni anno che s'aggiunge agli altri s'accompagna un desiderio nuovo di scoperta, cosicché la vita s'accorcia e le cose che uno vorrebbe studiare, capire, si moltiplicano. Eh già, commenta lei, dispettosa. E da questo paradosso discende l'infelicità umana. Non lo sapevi, scrittore? La riaccompagno alla macchina, adesso parliamo di cose sciocche, per un improvviso imbarazzo che ci fa pudichi. Al momento di ripartire controlla che il paraurti sia ben attaccato, mi molla un bacio che più casto non si può e si dilegua nella notte.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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