Più che gli uomini politici mi piace eleggere i giorni della mia vita, mandarli in parlamento - il parlamento anarchico che ho in testa - e lasciare loro la facoltà di governarmi con fantasia. Sono giorni che non baratterei con nessun paradiso, nessuna fortuna, hanno il passo della grazia, sono inestimabili e misteriosi, difficili da intuire anche per chi amo, per chi ho in intimità. Chi ho sempre attorno, se lo interrogassi sull'agomento direbbe Quando è nata tua figlia, Il primo giorno da insegnante, e sì certo che avrebbe ragione, certo che quei momenti là sono stati memorabili. Ma anche impegnativi, emotivamente e materialmente, tanto che la soavità nel ricordo si mescola alla fatica, all'ansia, perché non erano di un solo colore ma grigi e arancioni, neri come il fondo di un pozzo e azzurri come l'oceano. Certi altri mattini invece, o una cinquantina di sere impudenti - al mare d'aprile, in viaggio su una corriera nel golfo di Taranto o al principio dell'ora legale - me li ricordo senza controindicazioni, sul bugiardino gli effetti avversi non esistono. Eccoli i giorni eletti che schiarano le paure: le spaventano e quelle se la danno a gambe. Ecco la perfezione - chi ha detto che nella vita degli uomini non esiste mentiva. L'ostinazione a che quella perfezione duri a nostro piacimento è invece un abominio: ha tempi e modalità tutte sue, il segreto perché ogni tanto riaccada è - io credo - viverla senza distrarsi e lasciare che si rompa quando è il momento. Per cui se volete che peschi a caso uno di quei giorni stravaganti e ve lo racconti, non insistete, non posso accontentarvi: tutti i giorni di quel tipo a raccontarli non vengono bene, la loro armonia non è riferibile, va oltre le parole che esistono, i loro incastri. Quello che ho sempre raccontato è viceversa l'incerto, l'indistinto: sono le uniche condizioni che posso condividere. Spero che bastino a far di me uno scrittore e non soltanto uno che tenta di diventarlo.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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