La mia insonnia balbuziente fa e disfa le notti a suo piacimento, e come chi s'imbroglia con le parole, e ci inciampa e a parlare sembra che patisca, così il mio riposo è spezzato e in difetto, s'interrompe e ricomincia da capo, e non riesce a fare un discorso intero neanche a pagarlo. Il vantaggio è che tra uno stordimento e l'altro ho tempo per pensare e per desiderare. È soprattutto il desiderio che mi vien bene, perché si sposa col buio e col silenzio, e le nozze lo fanno temerario. I miei piedi sono già in fondo al letto, a quel punto, dove ho rimboccato con cura lenzuola e piumone. Da laggiù il tepore sale alle gambe, poi al ventre, al torace e alle spalle, fino a coprirmi tutto. Il piacere aumenta se riesco a immaginarmi altrove, non dentro la mia camera ma in aperta campagna, in una brughiera licantropa, dentro una caverna al colmo di una montagna severa. Lì mi godo la notte stellata che sta appesa al cielo, fredda e silente, e accendo un fuoco all'entrata, per tenere lontani i cinghiali. D'un tratto la fiamma imbizzarrisce, si drizza e illumina la parete porosa, dipinta di mani preistoriche. Le rughe della roccia sono solchi dove zampettano i ragni, il cellulare non prende, tutto è antico, tutto deve ancora accadere. La bisaccia immane delle cattiverie del mondo è all'avvenire, ogni perversione rimandata a un altro tempo: là in mezzo al nulla l'uomo è del tutto innocente. Mi stringo nei panni che ho, l'immaginazione fa il miracolo: mi sembra che la stalattite sopra di me, raffreddata, mi goccioli addosso. Che forza, la fantasia, che potere salvifico! E invece quella gocce mi arrivano in testa sul serio, e poi scivolano dispettose sulle tempie, fin nelle orecchie. Spezzo l'incanto, il sogno da sveglio si interrompe. Salto giù dal letto, resto imbrigliato nelle coltri, finisco lungo disteso. Sul soffitto una chiazza scura stilla acqua come una polla sorgiva: quello del piano di sopra ha riempito un'altra volta fino all'orlo la vasca da bagno. Non c'è niente da fare: appena uno si fa di immaginazione, c'è sempre qualcun altro che pretende di disintossicarlo con la realtà.
Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra
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