La mia insonnia balbuziente fa e disfa le notti a suo piacimento, e come chi s'imbroglia con le parole, e ci inciampa e a parlare sembra che patisca, così il mio riposo è spezzato e in difetto, s'interrompe e ricomincia da capo, e non riesce a fare un discorso intero neanche a pagarlo. Il vantaggio è che tra uno stordimento e l'altro ho tempo per pensare e per desiderare. È soprattutto il desiderio che mi vien bene, perché si sposa col buio e col silenzio, e le nozze lo fanno temerario. I miei piedi sono già in fondo al letto, a quel punto, dove ho rimboccato con cura lenzuola e piumone. Da laggiù il tepore sale alle gambe, poi al ventre, al torace e alle spalle, fino a coprirmi tutto. Il piacere aumenta se riesco a immaginarmi altrove, non dentro la mia camera ma in aperta campagna, in una brughiera licantropa, dentro una caverna al colmo di una montagna severa. Lì mi godo la notte stellata che sta appesa al cielo, fredda e silente, e accendo un fuoco all'entrata, per tenere lontani i cinghiali. D'un tratto la fiamma imbizzarrisce, si drizza e illumina la parete porosa, dipinta di mani preistoriche. Le rughe della roccia sono solchi dove zampettano i ragni, il cellulare non prende, tutto è antico, tutto deve ancora accadere. La bisaccia immane delle cattiverie del mondo è all'avvenire, ogni perversione rimandata a un altro tempo: là in mezzo al nulla l'uomo è del tutto innocente. Mi stringo nei panni che ho, l'immaginazione fa il miracolo: mi sembra che la stalattite sopra di me, raffreddata, mi goccioli addosso. Che forza, la fantasia, che potere salvifico! E invece quella gocce mi arrivano in testa sul serio, e poi scivolano dispettose sulle tempie, fin nelle orecchie. Spezzo l'incanto, il sogno da sveglio si interrompe. Salto giù dal letto, resto imbrigliato nelle coltri, finisco lungo disteso. Sul soffitto una chiazza scura stilla acqua come una polla sorgiva: quello del piano di sopra ha riempito un'altra volta fino all'orlo la vasca da bagno. Non c'è niente da fare: appena uno si fa di immaginazione, c'è sempre qualcun altro che pretende di disintossicarlo con la realtà.
C'è una murata di scogli a cento metri dalla riva, mia figlia arrivava fin là. Più al largo non si tocca e a turno io e mia moglie le facevamo la guardia, dritti sul bagnasciuga, rischiando l'insolazione. Ciononostante ogni tanto spariva tra quelle onde docili, pochi attimi, per poi riapparire in qualche tratto più vicino alla spiaggia. Troppo tardi, a me era già venuto un infarto. Meno apprensiva mia moglie: forse già sapeva che in capo a tre anni ci avrebbe lasciati soli e voleva mostrarmi come gestire razionalmente il panico di una figlia in mare aperto. In senso letterale e metaforico. Era il 2009 e dopo sedici anni sono tornato qui, ma l'albergo dove soggiornammo inquieti e preda di una felicità a breve termine l'ho solo sfiorato: ho preso una camera nell'albergo accanto dalla cui finestra, guarda tu il caso, si intravede la camera di allora, un suo spiraglio almeno. Perché l'ho fatto? Perché non sono mai riuscito a maledire il passato, provo anzi una sort...
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