Passa ai contenuti principali

Il sacco dei desideri

Una sera, molto prima della grande tenebra, eravamo a cena, io e Alessandra, in una trattoria a Spoleto, su quella via svirgolante, inarcata come un'onda gentile, che porta al duomo, celandolo però fino all'ultimo perché è tutta curve coperte, e l'apparire della bellezza è all'improvviso. Mi pare che fosse aprile, che è il mese che più amo, ammesso che si possa amare il tempo, e per antagonismo al momento del dolce ci venne di ricapitolare l'università fatta fin lì, gli esami assurdi come Glottologia e Letterature comparate, e prendemmo a ragionare di dialetti e parlamenti antichi, e uscimmo nel discorso con certe formule scaramantiche della tradizione popolare che avevamo trovato nei sonetti di Gioacchino Belli. Nonostante fossimo piuttosto affiatati, scoprimmo solo quella sera che a entrambi piaceva la melodia trasteverina delle parole buffe e ricordammo che espressioni simili le usavano anche i nostri nonni quando amavano intercalare. Poi restammo zitti per un po' e la città ci afferrò. Spoleto - se ci siete mai stati lo sapete - fa questo effetto: ci si dimentica che esistono desideri impossibili e si azzarda, si sperimenta la tracotanza greca e si osa ciò che altrove è proibito. Ci sono posti che incoraggiano vanità del genere, magari i miei sono differenti dai vostri, ma Spoleto di notte, a primavera inoltrata, con le lampade appese agli empori, le grondaie sporgenti dai palazzi nobili, i turisti a schiena curva su per i camminamenti d'asfalto e i tavolini sotto la luna, è uno dei luoghi dove più  sono stato spavaldo. Infine, mentre stavamo per andare via, nel ristorante entrò un uomo con una giacca arancione e un sacco vuoto, floscio, sulle spalle. Rivolto a tutti - clienti e camerieri - disse: "Questo è il sacco dei desideri, ognuno lo riempia come vuole". Fecero alcuni - tra cui noi - un gesto infantile: fingere di gettare in quel sacco ciò che più ardentemente desideravano, come fosse un oggetto concreto, e l'uomo alla fine se ne andò, e a tutti parve che la sua sporta, ora bitorzoluta e gonfia, si fosse effettivamente riempita. Ci spiegarono che era un illusionista, che a mezzanotte faceva dei numeri in strada e che ogni sera da una settimana compiva quel rito. Forse saremmo dovuti andare a guardare lo spettacolo, invece rincasammo, e quei desideri che gli avevamo prestato non ho mai saputo che fine abbiano fatto.

Commenti

Post popolari in questo blog

Avvento

Il primo Natale dopo la grande tenebra è una stagione vicina eppure antica: undici anni or sono. Là dentro decisi che non me ne importava più delle mie canzoni, dei libri che mi avevano spaccato a metà, e che mi sarei abbrutito, se ne fossi stato capace. Gli altri, intorno, continuavano a fare le cose con noncuranza, come se Alessandra fosse uscita a comprare candele e centrotavola e tutti sapevano che sarebbe arrivata in tempo per il cenone. Scartai il regalo che mi fece qualcuno che non ricordo e dentro c'era un libro di viaggi nello spazio: un suggerimento, avrei dovuto cercare mia moglie dappertutto, nell'universo, tranne che su questo pianeta. Poi venne il primo gennaio, poi il mio compleanno, poi marzo - che ho sempre amato, per via della sua schizofrenia - e poi aprile, mese che ci trasformava per due giorni in amanti affamati, al mare, ed era quando non avevamo altri legami al mondo che il nostro. Ci andai lo stesso, al mare, con mia figlia, e commisi l'errore di ra

Tre circostanze fortunate

Tu adesso chiudi gli occhi che io ti do un bacio. Chiudi gli occhi perché il bacio non devi vederlo arrivare, devi fare in modo che l'attesa sia una fitta dentro al petto, che la mia bocca s'aggrappi alla tua quando non ci contavi più, quando pensi che me ne sono andato e t'ho lasciata là, ingannata e cieca. Mentre aspetti il tempo ti sembrerà differente - il tempo dell'attesa di un bacio sfugge alla gabbia consueta - e se alla fine ti chiedessero di contarlo dovresti fare come i bambini, con le dita, e sarebbe lo stesso un inganno. Non è una questione di età, io ho la mia e tu la tua, non siamo alle prime armi. Ma anche la tenerezza - perché è di questo che stiamo parlando - muove con un tempo tutto strano, asincrono, ed è la stessa di quando avevamo vent'anni - tu più di recente - rinvigorita però dall'autostima, che alla giovinezza non si addice. Poi vorrei tenerti addosso, come in quella canzone di Paoli, stringerti alla mia camicia bianca e dirti che probab

Alcune ragioni contrarie all'infelicità

Perché sei infelice? Perché non riesci a starci dentro, alla felicità, per più di dieci minuti? Io credo che dovresti ragionare su queste domande, così intime e così terribili. Se vuoi ti do una mano, molti dicono che ci somigliamo, sarà più facile per me che per un altro suggerirti una via d'uscita. Sei infelice nonostante tu faccia tutti i giorni quello che ti piace. Pensa se non fosse successo, che avessi quei piccoli talenti che alcuni ti riconoscono: parlare in radio con disinvoltura, scrivere con leggiadria, tenere avvinti venticinque ragazzi con un poeta che per la prima volta non sembra loro inutile. Pensa se non avessi quei piccoli talenti ma fossi divorato dal desiderio di averli, e ogni tua invenzione passasse inosservata, o peggio fosse evitata come la peste. Questa attenzione che ti dedicano, non è già motivo di felicità? Le parole - lusinghiere -  che ti regalano a corredo delle tue, non sono una buona ragione per essere felici? E quando hai viaggiato per l'Italia