Passa ai contenuti principali

L'estate dei visionari

Che si preparasse un'estate insolita l'avevo intuito dagli ultimi giorni di primavera, dolci e tentatori. Alla fine di maggio Susi ha trovato un lavoro e scoperto che le piace, perché le permette di essere quel che non è mai stata: se stessa; e al dieci di giugno L'isola greca s'è imbattuta in un'editrice che se n'è innamorata, finalmente, e così, a gennaio, potrà diventare libro. È stata insomma, per questi motivi ed altri che un'altra volta racconterò, una stagione di cose rinvenute, ma non per caso: per tigna, perché trova ciò che cerca solo chi non si distrae, non si stanca e non si arrende. Fatto sta che quei due eventi han spalancato un'estate di sogni da proteggere, adattabili alla mia anima come le cover universali ai cellulari. Vivo di entusiasmi – come gli Avion Travel di canzoni in quel disco bellissimo - e talora il loro assalto è irrefrenabile. Le euforie, certe mattine, mi escono dalla bocca, dagli occhi lucidi, dai gesti ampi che paion teatrali, e disorientano i cauti, coloro che vivono l'abitudine come fosse una trincea da difendere. A quel punto io, che all'abitudine non riconosco pregi, finisco per sembrare un visionario, un mezzo schizzato. Pace. Il piacere di un'estate tanto elettrica ha finito poi per riempirsi di senso al cospetto di altre due emozioni niente male: la morte di Raffaella e gli Europei di calcio. Vicende di altri visionari, di persone con una prospettiva differente delle cose, più ampia, spaziale. A vivere quei due deragliamenti mi è venuto da piangere, non solo per i fatti in sé ma, più probabilmente, per i fatti in me. Perché, cioè, quelle vicende così universali hanno smosso memorie, tenerezze, rimpianti privati che stavano tutti assieme in un armadio a scomparsa, da qualche parte dentro l'anima. Le avventure più divertenti del resto sono quelle a cui gli uomini assegnano un valore di simbolo, io credo. E quanti ce n'erano di simboli in quella dolce, eterna ragazza che ha fatto una rivoluzione senza vantarsene e in quei calciatori vestiti d'azzurro! Clara, Gino, Pietro, i lunghi inverni di parenti che salivano per Canzonissima, gli amici che non riuscivano a gestire la tensione di altre finali e scappavano nella piazza vuota, le orecchie tappate. Era un mondo che poi si è disintegrato, quello là, tanto che ho il sospetto che non sia mai esistito, ben orchestrato com'era. Per questo detesto quelli che han detto Era solo una soubrette, o Vediamo se gli italiani scenderanno in strada per i loro diritti, adesso. Cosa vuol dire essere solo una soubrette? Cosa c'entrano i diritti con la gioia? Rivendico, questo sì, il diritto alla tristezza per la morte di un'artista che mi ha rallegrato l'infanzia; e quello alla commozione per una vittoria sportiva che mi fatto rivedere Pietro che esulta - son sicuro che fosse lui quell'ombra sul divano coi pugni alzati. Alle cose serie, ma che non hanno la leggerezza del Tuca Tuca e danno poca felicità, ricominceremo a pensare da domani.

Commenti

Post popolari in questo blog

Lasciami andare

Valerio, avevi ragione, dovevo lasciar andare. Ti ricordi che ne parlavamo? Io trattenevo, aggiustavo, incollavo. Tu dicevi "Sei stato bene con quella ragazza? Basta, non cercarla, non chiamarla". Oppure "Ti manca tuo padre, ne hai nostalgia? No, non darle retta, via, è finita". Dicevi che dovevo conservare la memoria ma senza ogni volta inseguire il passato: io ho sempre pensato che le due cose fossero inseparabili, mi hai aperto gli occhi. Così faccio con le case che ho abitato: non le guardo più le fotografie, che si secchino pure dentro gli armadi. Lasciar correre, lasciare indietro. Un suggerimento sensato, così facendo uno mette a posto il disordine delle stanze, ma si vive meglio in un ambiente in cui tutto è dove deve stare? A questa obiezione facevi spallucce, una finta di corpo - come quando giocavi mezz'ala e io al centro dell'area aspettavo il tuo cross per segnare - e uscivi dal bar. Forse pensavi Che testa di cazzo , ma con tenerezza, perché ma...

Primavera di vento

A Tarquinia c'è un albergo nascosto in mezzo alla pineta, non affaccia al mare, è l'albergo dei nostalgici, degli amanti e delle canzoni d'autore. Tira sempre vento quando ci vado, ma è il vento leggero del Tirreno che volta le pagine del libro che ho in testa assieme ai ricordi della giovinezza, mai finita e mai rinnegata. In una primavera di vent'anni fa, una primavera anch'essa di vento, ci arrivammo per caso, tu ed io, ragazza amorevole di un'altra vita. Dal litorale non si vede e se non sai che c'è è difficile trovarlo, e noi cercavamo una camera col balcone sulla spiaggia, per cantare un'altra volta il caso, divinità innamorata delle onde azzurre e dei fortunali. Cenammo invece a bordo piscina perché l'hotel segreto ci rapì, e il mare restò una voce di là dalla strada, una prospettiva per l'indomani, l'abisso dentro cui stavamo per cadere dopo quella notte di soprassalti. Ti presi e poi tu prendesti me e alla fine la stanchezza ci rese ...

Il numero settecento

Mi sono perso. Ho girato a vuoto per certe colline che credevo familiari, il gps non prendeva, nei paraggi nessuno a cui chiedere la strada. Cercavo una certa locanda che in una canzone del settantatré viene cantata come un posto di frontiera,  ero certo esistesse davvero, volevo vedere com'è fatta, che gente la frequenta. Quando stavo per darmi per vinto l'ho trovata. I posti come questo, di confine, io li amo, li eleggo a covili di creatività perché là dentro passano mille venti, centomila viaggiatori, e ogni vento e ognuno di quei viaggiatori ha una storia da raccontare, e a intrecciarle ne viene fuori una inedita che ha in sé tutte le intonazioni delle altre ma una stravaganza solamente sua. Quando finisce il giorno in quegli avamposti lontani arriva il silenzio, le voci smettono di bisticciarsi e io posso abitare una veranda con vista sui campi di girasole come fossi in Alabama, e provare a confessare in libertà quello che ho in testa.  Eccola, l'eucarestia  della sc...